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Esiste una differenza sostanziale tra l’ipotizzato marchio “Azienda locale” e il marchio “Azienda formatrice”. Il primo è un’iniziativa di comunicazione, il secondo è il simbolo di un’iniziativa in essere. Con il marchio azienda locale si enunciano alcuni desiderata. Con il marchio azienda formatrice si certifica un impegno.
Nel merito, il marchio azienda locale assomiglia a una ciofeca.
I motivi: tale marchio dovrebbe privilegiare la manodopera domiciliata in Ticino in percentuale significativa, rispettando le condizioni salariali in vigore e dovrebbe venire attribuito a imprese che si impegnano a non subappaltare i lavori a ditte straniere o prive del marchio “Azienda locale”.
Giuridicamente è possibile? Crediamo di no. Si tratta di un vantaggio competitivo in contrasto con una pletora di regolamenti e accordi precedenti. La sostanza, anche qui, è contro il progetto.
L’idea di affidare la gestione del marchio alle associazioni economiche è stata definita dal direttore di Aiti Stefano Modenini, sentito in commissione parlamentare, “un esercizio non pertinente dato che le nostre associate si rivolgono prevalentemente all’esportazione, lavorando quindi con altre industrie straniere alle quali non importa del marchio “Azienda locale””.
Le associazioni economiche peraltro, evidenziano l’esistenza di numerose iniziative già lanciate dal mercato e volte a promuovere le aziende virtuose secondo i termini avanzati dai due atti parlamentari discussi nell’ultima sessione in Gran Consiglio.
In termini generali, il marchio di provenienza è uno strumento molto democratico. I grandi produttori e distributori di beni generati in quel tale distretto di produzione ben identificato (per esempio in Italia Biella per la lana) aiutano i piccoli operatori che senza marchio di provenienza avrebbero meno chance di successo. Ma quale successo? Il successo nei mercati lontani rispetto al loro, in luoghi in cui la piccola impresa può arrivare solo se accompagnata da un marchio noto ed usato dai grandi player del settore anch’essi operativi nello stesso suo territorio riconosciuto per essere vincente in quel campo.
Da noi, tale dinamica è avvenuta con il “Marchio Ticino” per i prodotti alimentari. Tale marchio è uno standard proprio grazie alla specificità e a un regolamento d’uso solido. Il Marchio Ticino veniva usato in Svizzera tedesca dall’Ortofrutticola, quella cooperativa che riunisce i produttori di verdure che vendono oltralpe buona parte della produzione. Oltralpe, credono che in Ticino crescano ottime verdure per via del sole che loro non hanno. Per questo motivo, il Marchio Ticino è credibile, perciò i piccoli che lo usano beneficiano di una reputazione generale alimentata in decenni da un grande, l’Ortofrutticola appunto.
Per scatenare una dinamica positiva, il marchio deve essere solido e questo significa peraltro che le regole che ne presiedono l’attribuzione dovrebbero essere granitiche. A proposito di granito: il label “Azienda locale” verrebbe attribuito anche a chi importa granito dall’estero pur impiegando il 100% dei dipendenti ticinesi che parlano dialetto con le imprese clienti e percepiscono lauti stipendi, oppure i granitisti della Riviera avranno qualcosa da dire?
La sostanza, come si diceva, è la differenza tra un marchio che serve per l’economia e uno che serve per la propaganda elettorale. Il “Azienda locale” assomiglia a uno strumento elettorale. Il 19.4 non servirà più a nessuno.
di Matteo Quadranti, granconsigliere e Mirko Nesurini, consulente di comunicazione.