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Come siamo arrivati a questo presente, che abbiamo davanti agli occhi? Un presente nel quale la dimensione del “noi” è completamente scomparsa dalle nostre vite, dai nostri pensieri, dal nostro stesso lessico: completamente annientata e sostituita da un “io” che definire individualista sarebbe riduttivo, un “io” ormai dispotico, quasi tirannico. Un presente nel quale tutto sembra frantumato, polverizzato: il nostro senso di appartenenza a un comune destino, chiusi e reclusi come siamo nelle nostre separazioni identitarie; la nostra memoria collettiva, se non di più (nel senso che forse ha ragione chi dice che non solo non esistono più memorie condivise ma non esiste più neppure la memoria tout court, che non esiste più il ricordo del passato ma esiste solo il tempo dell’oggi, dell’ora e del qui), il lavoro, il modo di lavorare – e lo vediamo ogni giorno.
Il diritto stesso è stato frantumato e soffre di eccessiva legislazione, con un’abnorme quantità di norme che si moltiplicano in ogni campo, spesso utilizzando un linguaggio burocratico anziché quello giuridico. Questo accade perché ciascuno di noi chiede leggi su misura per le proprie esigenze, presumendo che il proprio “io” sia universale. Questo ha portato il diritto a perdere la sua funzione di perseguire la giustizia per tutti in modo equo e ha invece enfatizzato l’individualismo.
Questo cambiamento è stato evidente quando l’individualismo, originariamente orientato socialmente e incentrato sulla costruzione di relazioni interpersonali, si è trasformato in una forma più egocentrica ed egoista. Alcuni pensano che questa crisi sia frutto del fallimento della perversione delle aspirazioni libertarie e comunitarie del Sessantotto. I social media – che spesso generano cerchie autoreferenziali – non hanno certo aiutato.
Questo ha creato un vuoto che non siamo riusciti a riempire in altro modo, spesso violento, se non con l’individualismo, abbandonando l’idea di una giustizia che trascenda l’individuo. Anche se nessuna norma può abbracciare l’infinito, dovrebbe comunque aspirare a farlo. Questa è la responsabilità che il diritto dovrebbe sempre sentire, anche se consapevole dei propri limiti: aspirare a una giustizia infinita e negoziarla nella vita di tutti i giorni.
Matteo Quadranti, novembre 2023, Corriere del Ticino