Tra pessimismo e realtà

Rispetto al 1980, l’estrema povertà nel mondo si è drasticamente ridotta a circa il 10% della popolazione. Nigeria, Cina e India sono oggi Paesi a medio reddito con esplosione demografica. Negli ultimi 100 anni il numero di morti per catastrofi naturali si è dimezzato. Inoltre, la mortalità infantile in Africa ha raggiunto il livello dell’Europa nel 1950. Ma, secondo una ricerca del 2020 condotta dall’organizzazione no-profit svedese Gap-Minder, il 92% delle persone di alcune delle nazioni più ricche al mondo resta convinto che la povertà sia aumentata. Anche da noi la percezione è che il mondo sia allo sfascio. Le ragioni di questa falsa percezione della situazione globale (declinismo) sono diverse ma possono essere sintetizzate in ragioni storico-ideologiche, psicologiche e sociologiche, in particolare legate al funzionamento dei media e del giornalismo. Il declinismo non è una tendenza nuova. Della corruzione della società moderna se ne parla da decenni. Questa critica alla modernità e al sistema liberale, ha influenzato sia la Destra che la Sinistra. Il declinismo è stato recentemente protagonista delle campagne elettorali di Trump (Make America Great Again) o per la Brexit (Tacking back Control) che avevano in comune la promessa di un ritorno a un periodo dell’oro. La tendenza a cercare rassicurazioni nel passato è un tratto tipico del funzionamento della psicologia umana. Il giornalista Franklin Adams ha scritto che i bei vecchi tempi sono per lo più frutto di cattiva memoria. I mezzi d’informazione si sono adattati troppo bene a questi limiti cognitivi e quindi offrono al pubblico le informazioni in modo da innescare le reazioni emotive più violente e aumentare così il livello di coinvolgimento. Notizie negative, scandali e sensazionalismo non mancano quasi mai nelle news giornaliere. Pochi mezzi d’informazione s’interrogano sul loro ruolo e sulle enormi responsabilità che hanno nei confronti della società circa il modo in cui riportano le notizie. Nella maggioranza dei casi i media sembrano preferire approcci retorici e narrativi più sexy rispetto a quelli scientifici basati su dati e informazioni. L’accuratezza e la precisione sono più importanti dell’indignazione. La propaganda politica ha spesso sostenuto il contrario, sfruttando ondate di indignazione per ottenere il consenso. Questa demagogia-basata su dati falsi ha condizionato scelte politiche e deviato l’attenzione da temi potenzialmente più significativi che, se risolti, avrebbero avuto un impatto maggiore sulla vita delle persone. Quando la propaganda politica comunica una minaccia perenne, la popolazione tende a fare scelte più conservatrici. Il fatalismo – direttamente collegato al declinismo – ha un costo. Se pensiamo che i progressi che sono stati fatti nel mondo siano inutili o, peggio ancora, dannosi, saremo meno portati a inventare soluzioni nuove e a migliorare ulteriormente la mostra condizione. Parte del successo del declinismo è spiegabile anche per il senso di deresponsabilizzazione che porta con sé: se una persona pensa che il mondo stia peggiorando si sentirà meno obbligata a fare-qualcosa per migliorarsi. Inoltre, i personali fallimenti e disagi risultano maggiormente tollerabili. «Non sono io a essere sbagliato, ma il mondo intero», si racconta il pessimista. Un’informazione più oggettiva e realistica del mondo in cui viviamo contribuirebbe dunque a formare nei cittadini una coscienza politica più informata e meno ideologica, più orientata alla soluzione dei problemi che alla propaganda. Hans Rosling, medico e statista, nel suo testamento ideologico – che tratta proprio queste tematiche (Factfulness. Dieci ragioni per cui non capiamo il mondo e perché le cose vanno meglio di come pensiamo) – racconta come dati e statistica ci aiutano oggettivamente a capire e trovare soluzioni. E d’altronde una conoscenza più oggettiva della realtà, se avessimo potuto applicarla in passato, ci avrebbe forse garantito conquiste ancora maggiori rispetto a quelle che vediamo oggi, magari risparmiandoci anni di inutili sofferenze e scelte politiche dannose. Una delle frasi che dovremmo abituarci a sentir dire dai giornalisti è: “Voglio vedere i dati».

Matteo Quadranti