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4 marzo 2011 – Opinione Liberale
Sono un uomo di frontiera. Un muro nasconde l’Altro; la frontiera lo riconosce, accettandone l’identità, primo passo verso un possibile negoziato. Riconoscere l’importanza delle frontiere significa riscoprire la complessità, la varietà del mondo e la nozione di ospitalità. La frontiera è sempre ambivalente, può essere motivo di scontro o un luogo di scambio e di comunicazione. Da un lato si fa l’elogio dell’universalità e della globalizzazione che trascendono i confini, dall’altro, dal 1990 ad oggi, sono stati creati 29’000 km di nuove frontiere, ai quali vanno aggiunti 18’000 km di barriere elettroniche in costruzione. Tutto questo non ha impedito o potrà impedire mai di rendere le frontiere invalicabili. Nemmeno laddove l’esercito è in forze si è riusciti a bloccare fenomeni migratori. Si pensi alla frontiera tra USA e Messico o il Muro tra Israele e Palestina. Ma soprattutto, chiudere le frontiere arrischia di essere controproducente. Pensiamo non solo ai migranti, ma anche ai frontalieri di cui la nostra economia ha comunque bisogno, incluse le aziende dirette da leghisti e udc. Vero è però che dei limiti e delle regole vanno dati e pretesi per la sicurezza dei nostri concittadini. Il “senzafrontierismo” è l’espressione romantica del neoliberismo, che, in nome della libera circolazione delle persone, delle merci e dei capitali ha prodotto un’utopia esteriormente generosa. Un mondo senza frontiere è in realtà un falso infinito, dove alla fine domina il più forte, dove ogni diversità viene cancellata e sostituita dalla monocultura, dall’uniformizzazione, dai media dominanti che danno solo l’opinione di una élite. Certo non tutto è male. Il tam tam, via internet e facebook, ha consentito a milioni di giovani di paesi oppressi da dittature di concordare la rivoluzione. Ma la standardizzazione dei modi di vita favorisce una perdita di appartenenza sia nei Paesi da cui si fugge sia in quelli nei quali si va. I giovani del Maghreb sognano la democrazia, ma anche il benessere occidentale. In passato i ticinesi emigranti hanno cercato a loro volta la fortuna nelle americhe. Bisogna piuttosto pensare a una nuova etica della frontiera. Questo significa educare lo straniero al rispetto della cultura del luogo, ma non in un modo che abolisca l’idea di frontiera, di diversità culturale, altrimenti verrebbe meno la nozione dell’alterità. Il rischio è quello di chiudersi nel tentativo di proteggere una identità a base mitico-religiosa e regionalistica quando, dall’altro lato, in futuro, vi sarà una società postmoderna dal profilo tecnologico, e multietnica. Per evitare un progresso “retrogrado”, bisogna interpretare la frontiera come luogo di comunicazione. Essa deve essere visibile, condivisa e regolatrice, perché ci deve permettere di capire e far capire l’Altro che entra nel nostro territorio. Il multiculturalismo è fallito? È fallito quello in salsa anglosassone, dove i giovani indigeni vanno nelle scuole private e gli stranieri in quelle pubbliche rese scadenti, dove gli stranieri vivono in quartieri periferici e ghettizzati: gli indiani, i cinesi, i latinoamericani, ogni gruppo per conto proprio. In tale modo le culture non si incontrano, non si conoscono. Nella migliore delle ipotesi quel tipo di multiculturalismo poteva ottenere che i gruppi non se le dessero di santa ragione, ma nulla più. In Ticino la situazione non è questa. Evitiamo che lo diventi. Da noi si può parlare di interculturalità. Le culture interagiscono, si conoscono. Non si tratta di tradire le proprie identità, ma solo di tradurle in qualcosa di nuovo. Un mosaico di culture, ognuna col suo colore originale e fiero, ma che assieme diventano un nuovo disegno. In questo Cantone dobbiamo ritornare a: essere vigili, coltivare l’umanità, iniziando, ora e non domani, da un insegnamento più umanistico, non solo freddamente tecnico. È importante per il futuro che resti radicato il relativismo culturale che insegna agli uomini il rispetto delle differenze: di religione, di tradizioni, di consumi, di idee. Altrimenti, come vorrebbe il liberismo, saremo tutti consumatori dello stesso prodotto confezionato e propinatoci da multinazionali o da élite, in un nichilismo globale che ci farà perdere la nostra identità ben più di un fenomeno migratorio. Ci allarmiamo per gli stranieri che vengono a snaturare l’identità ticinese, ma poi noi stessi invadiamo i McDonalds più dei grotti, andiamo nelle multisale cinematografiche a vedere i film americani piuttosto che spettacoli della tradizione ticinese, … Il mondo cambia e noi con lui. Ci sono nuove frontiere da discutere, e non sono solo quelle fisiche.
Matteo Quadranti, Candidato PLR al consiglio di Stato e al Gran Consiglio