Il futuro: speranze tra luci ed ombre

La globalizzazione delle economie e delle pandemie – le prime volute dal liberismo economico grazie alla caduta del comunismo e allo sviluppo tecnologico; le seconde dovute all’esplosione del traffico di persone e merci sulla terra (fattasi più piccola) – hanno ridotto i margini delle economie e politiche nazionali. Le migrazioni crescenti e le pressioni sui posti di lavoro locali e/o delocalizzati hanno fatto riemergere razzismi, nazionalismi e si perdono spazi per obiettivi comuni (quali il clima o la lotta alla povertà). Certo la nostra vita è migliorata grazie alla rivoluzione tecnologica che ha mutato l’ordine sociale, politico e giuridico. Le economie sono comunicanti, talvolta inutilmente inquinanti e sovente fonte di disparità con enormi ricchezze in pochissime mani (quelle delle Big Tech Corporations) che impongono agli Stati nazionali di doversi riunire in poteri e legislazioni sovranazionali per farvi fronte e garantire un minimo di sicurezza sociale a tutti gli altri cittadini. Si fanno meno guerre. Il benessere materiale della civiltà è avvenuto in breve tempo e da 70 anni circa si vive (si è vissuto?) in democrazia e libertà. Libertà e diritti fondamentali – garantiti grazie ad un ordine giudiziario indipendente – ora sono vieppiù messi in crisi da regimi illiberali benché sedicenti democratici. I giudici, come i professori, sono e devono essere corpi meritocratici. È per contro caduta la distinzione tra opinion maker (giornalisti, politici, intellettuali,…) e pubblico con aspetti positivi – la crescente richiesta di trasparenza delle istituzioni e partecipazione attiva verso di esse – ma anche negativi: l’eccesso di comunicazione ha generato forme di analfabetismo di ritorno, incapacità di approfondimento dei ragionamenti e di distinzione da notizie vere e false; l’aggressività sui social, nei posti di lavoro e nella vita privata generano sexting, mobbing, stalking, isolamento sociale, ghettizzazione e scherno di intellettuali o di chi semplicemente non la pensa come noi e la nostra cerchia di followers dentro la quale ci rinchiudiamo per crogiolarci in un pensiero unico falsamente rassicurante. Le campagne politiche divengono forme di marketing con prezzolati slogan. Forse una volta si stava peggio ma il futuro era migliore, oggi stiamo meglio, ma con un futuro peggiore. Già Seneca diceva che “è misera l’anima inquieta per il futuro”. Ci sono quindi motivi per tornare a sperare? E cosa bisogna fare? Almeno dieci cose: 1) studiare, perché si avranno cittadini più consapevoli, partecipi e con maggiori possibilità; 2) essere pluridisciplinari, perché è nelle intersezioni tra i saperi e le tecnologie che nasce l’innovazione, il futuro. La realtà è fatta di problemi complessi, non di divisioni settoriali; 3) vedere le cose come sono per davvero, non la cornice interpretativa che taluni le danno; 4) usare bene il proprio tempo: istruendosi, viaggiando, non perdendosi in cose vuote; 5) scegliersi un maestro, che ci indichi un limite, una direzione e un senso e che sappia risvegliare in noi una passione; 6) scegliere un percorso professionale, ma non tralasciarne di altri, nel proprio Paese o nel mondo; 7) partecipare attivamente alla vita della comunità, se non in partiti o sindacati almeno nel mondo associativo a favore degli altri; 8) coniugare utopia con il senso concreto del percorso. Il coraggio dell’immaginazione apre nuove strade e solo l’intimo impulso, la gioia, l’amore ci aiutano a superare gli ostacoli; 9) non temere gli errori. Il successo è l’arte di passare da un fallimento all’altro (diceva Churchill o Bill Gates). Il vero esperto è colui che ha fatto tutti i possibili errori in un campo molto ristretto; 10) formare une buona élite (non elitista).  Yes we can o alla Merkel “Wir schaffen das”.

 

Matteo Quadranti, granconsigliere