Élite e popolo

Pensiero in controtendenza

Negli ultimi decenni, tra i tanti mutamenti, vi è stato quello che ha fatto esplodere il cosiddetto “populismo” ovvero un modo di far politica secondo il quale il popolo – quello del proprio paese, o meglio del proprio spazio elettorale – ha sempre ragion. Il tutto in nome della democrazia, segnatamente quella diretta ancora più che quella rappresentativa. Se però le popolazioni degli Stati nazione si sono ritrovate più in difficoltà non è, a monte, a causa di frontalieri e stranieri che vengono ad occupare sempre più posti di lavoro nel territorio altrui, ma questa è la conseguenza di una perdita di potere delle economie e delle politiche nazionali di fronte alla globalizzazione economica e lo sviluppo tecnologico. Il liberismo economico, con la competitività a tutto mondo, ha fatto e fa il resto con vari effetti a cascata, in alcune regioni e nazioni più che in altre. Alcune emergono ed altre affondano.

Ciò detto, il tema di questa riflessione è sapere se davvero la democrazia sia sempre stata il governo del popolo (in senso ampio) che comanda e dei politici che fanno acriticamente quello che la massa chiede pur di raccogliere consensi elettorali. Che il livello politico e la qualità del dibattito politico si sia abbassato è piuttosto evidente. Diciamo che spesso è la “bagarre”. Oggi l’ignoranza è diventata un valore mentre la realtà è che le persone istruite hanno una speranza di vita più elevata, conducono una vita più sana, sono cittadini più consapevoli, attivi e aperti verso gli altri. Si tratta di abbandonare “l’effetto Dunning-Kruger”, ristabilire una meritocrazia e un accesso alle funzioni guida a persone con un buon livello di istruzione e competenza al posto di raccomandati per adesioni partitiche. L’epidemia di ignoranza mina la democrazia, quella a cui tanti, troppi, si appellano. Essa ha bisogno di un sano rapporto esperti-cittadini perché l’egualitarismo è nemico dell’eguaglianza. E l’eguaglianza non è in contrasto con le élites, o almeno con quelle non elitiste. Queste sono un ingrediente critico essenziale della democrazia quale forma di potere dove di regola il popolo sceglie, eleggendo, chi decide; ciò che è diverso da decidere tramite i suoi rappresentanti. Alcuni corpi intermedi (partiti, sindacati, mass media, associazioni della società civile) sono in crisi ma essi sono imprescindibili per educare e selezionare i propri migliori rappresentanti e produrre i programmi della politica nazionale. E allora emergono i leaders, tanto richiesti, che altro non sono che dittatori, oligarchi, colonnelli (quindi élites negative) o “portabandiera” dei mal di pancia della popolazione. La realtà, sociologica se volete, è che da sempre gli esseri umani, anche nelle democrazie mitizzate dai populisti come un passato glorioso, fanno leva, si ispirano ed appellano a maestri, a personaggi noti, famosi di cui o si fidano o a cui vorrebbero somigliare poiché portatori di valori e di senso. Tanto il popolo (i fans, i consumatori), quanto i partiti, in ogni tempo e in ogni paese, sono sempre andati e vanno a caccia di testimonial: intellettuali -oggi ghettizzati-, calciatori, artisti, popstar, scienziati. Il loro scopo è sensibilizzare e direzionare l’opinione pubblica (verso un prodotto come verso una decisione politica) o promuovere stili di vita. Di fatto vi è sempre stata e sempre vi sarà una o più élite politiche, artistiche, sportive o economiche a cui ci ispireremo o a cui chiederemo di suggerirci come decidere e cosa fare della nostra vita. Il problema, quindi, non sono le élites, ma che queste élites siano ben selezionate tra persone competenti, meritevoli, oneste intellettualmente, disinteressate e buone, ciò che non guasta. Siamo più visi nella folla che comunità. È ora che la comunità torni a scegliere visi dotati di senso e valori. Le élites sono una realtà vera su cui il popolo deve potersi affidare, i populismi sono una bugia rivolta al popolo.

Matteo Quadranti, granconsigliere