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12 ottobre 2004 – Corriere del Ticino
La cronaca, anche quella più recente, ci pone di fronte giornalmente al disagio giovanile. È tempo di ripensare una politica integrata a favore dei giovani che coinvolga le diverse componenti che vivono ed operano a contatto con bambini ed adolescenti affinché questi possano tornare ad essere definiti, come scriveva Leopardi, “garzoncelli scherzosi”. La giovinezza non sembra più essere l’età della spensieratezza da dedicare sí all’apprendimento scolastico ma anche al divertimento ed al tempo libero. L’eccessiva attesa di successo che spesso genitori e società generano nei giovani crea in quest’ultimi – a detta di psicologi, pediatri e sociologi –stati d’ansia e depressivi. Anche il tempo libero dei giovani è oggigiorno iper-organizzato. Sin dalla scuola elementare vi sono fanciulli che terminata la scuola debbono correre da un allenamento di calcio ad una lezione di musica, dal corso di danza all’attività scout, e via discorrendo. Quando non vi sono queste attività programmate, secondo dati statistici, il 75% dei giovani hanno quale passatempo preferito la TV e il 35% usa chattare via internet, sostituendo amicizie virtuali a quelle reali in un crescendo d’isolamento e astrazione, e ciò proprio nella società che definiamo “della comunicazione”.
È tempo che adulti (genitori e non), società e politica si facciano un’autocritica a sapere a quale “bravura” si debba la creazione di condizioni ambientali tali da aver trasformato l’età della spensieratezza in uno dei periodi più critici della vita.
L’allarme, per quanto fosse necessario, viene lanciato dall’Accademia Americana di Pediatria e dal recente Congresso Nazionale della Società Italiana di Pediatria tenutosi a Napoli dove si sono affrontate le “nuove patologie” giovanili. È da ritenersi superato il tempo in cui si potevano minimizzare i mutamenti d’umore degli adolescenti giudicandoli semplici manifestazioni normali dell’età, come – seppur con un fondamento scientifico – non può più bastare l’accettazione pura e semplice dell’assunto che la depressione possa essere dovuta a fattori genetico-ereditari (alterazione di neurotrasmettitori) e pertanto sia fuori dalla portata di un intervento se non quello farmacologico (tanto più che mancano studi scientifici sugli effetti dell’assunzione di tali farmaci nell’età giovanile).
Assodato che la depressione non è una malattia “da grandi”, ma una condizione che può riguardare anche bambini e adolescenti (alcuni studi sembrano addirittura riscontrare fenomeni di stress nei nascituri), si tratta di intervenire ai vari livelli.
Tra le cause di una tale depressione vi possono essere i problemi familiari: maltrattamenti, semplice disinteresse o eccessive aspettative di successo dei genitori verso i figli; divorzi con conseguenti lotte e atteggiamenti possessivi apparentemente “nell’interesse e per il bene” dei figli; gravidanze indesiderate o precoci in assenza di un vero nucleo familiare. Tutti fattori che inducono a stati d’ansia e alla perdita di autostima da parte di bambini e adolescenti.
Quest’ultimi reagiranno e reagiscono poi con alterazioni dell’umore, del pensiero, della funzioni cognitive e quindi anche con comportamenti antisociali e aggressivi verso se stessi (assunzione di rischi volontari: suicidi, corse in auto e/o assunzione di alcool/droghe; relazioni sessuali non protette, anoressia, bulimia, obesità) e verso la società (risse, sfide all’autorità, disinteresse per il futuro e quindi anche per il mondo del lavoro con conseguenze facilmente immaginabili anche a livello sociale e politico-finanziario).
Si tratta di raccogliere quella che oggi purtroppo sembra essere una sfida: la responsabilità. Responsabilità dei genitori e della scuola nelle cure e nell’educazione verso i giovani e nel saper cogliere per tempo i primi segnali di disagio; responsabilità degli adulti nel colloquiare con i giovani; responsabilità del mondo del lavoro nel creare opportunità di lavoro per le giovani generazioni; responsabilità delle autorità politiche nel ricreare le migliori condizioni ambientali per una sana crescita; responsabilità anche dell’informazione nel trasmettere esempi di valori positivi, sani e costruttivi. E non da ultimo, la responsabilità per tutte le componenti di trasmettere ai giovani l’esempio di un agire responsabile.