Ferrovia e Stato

1 settembre 2012 – La Regione Ticino

L’azzeccato commento di Edy Bernasconi (La Regione, 22 agosto) in merito alla sfida delle ex regie federali tra mercato e monopolio, mi induce ad alcune riflessioni. Ffs e Posta, pur essendo state “esternalizzate” (è notizia recente la trasformazione della Posta in una SA dal 2013), restano ancora in mano allo Stato in quanto servizio pubblico. Ora i rispettivi direttori fanno capire che vorrebbero più flessibilità e alcuni auspicano una privatizzazione per “meglio rispondere alle esigenze del mercato”. Concorrenza che in alcuni ambiti esiste peraltro già tra le stesse Ffs e la Posta, e nel trasporto merci (vedi Ffs Cargo). Che negli ultimi 30 anni vi sia una volontà di ridurre il settore pubblico e che questo sia diventato il linguaggio politico predefinito nella gran parte dei paesi industrializzati, è un dato di fatto. Ma non è né l’unico né è incontrovertibile. Non è più una questione di più o meno Stato; distinzione invero ormai vecchia per chi mira ad avere uno Stato efficiente e al quale venga oggi riconosciuto, alla prova dei fatti, il suo ruolo fondamentale nel dare risposte ai dilemmi della competizione globalizzata. Dal settore privato il massimo che ci si possa attendere è un’azione di lobby e di difesa d’interessi particolari di corto respiro. La reazione contro i mercati finanziari senza regole ha obbligato ovunque lo Stato a intervenire in salvataggi privati. Credo si sia capito ormai che se non è lo Stato ad interferire nelle nostre vite, a farlo sono comunque altre organizzazioni quali i monopoli, le potenti multinazionali, i trusts, i sindacati, ecc.., le quali ridurrebbero a una finzione la libertà del mercato (Karl Popper). Dobbiamo liberarci dall’idea che lo Stato sia l’opzione peggiore tra quelle disponibili. Allo Stato, il settore privato, chiede aiuto e chiede comunque dei programmi, delle pianificazioni. Ci sono quindi cose che lo Stato è il solo in grado di fare e che dovrà continuare a fare, facendolo evidentemente al meglio a tutela dei beni collettivi (lo sapeva già Adam Smith). Le ferrovie, come le poste sono sia un’attività economica che un bene pubblico essenziale. Sono dei monopoli naturali oltre che dei servizi sociali. Se nelle stazioni il settore privato può giocare un ruolo (gestione dei chioschi, dei negozi o dei ristoranti,) non si può rendere un sistema ferroviario più efficiente mettendo due treni contemporaneamente sullo stesso binario e allo stesso orario. I passeggeri prendono il treno che c`è. Ciò non vuol dire che le ferrovie non possano essere privatizzate. Ma le conseguenze riscontrate altrove non si sono rivelate paganti. Allora meglio riformare il servizio pubblico come bene collettivo. Gli argomenti di efficienza invocati di solito per preferire il settore privato a quello pubblico non si applicano nel campo del trasporto pubblico. Il paradosso del trasporto pubblico è che meglio si svolge e più rischia di diventare “inefficiente”. E qui bisogna intendersi su ciò che s’intende per “efficienza” e “inefficienza”. Portare un treno (o la posta) sin nelle regioni periferiche, anche se “inefficiente” dal punto di vista dei costi e benefici, serve a sostenere le comunità locali, riduce i danni all’ambiente offrendo un’alternativa al trasporto su gomma e offre anche alle comunità meno numerose, attraverso le proprie stazioni ferroviarie e le strutture annesse, un sintomo e un simbolo della società in quanto aspirazione comune, non da ultimo mantenendo posti di lavoro a dei contribuenti. È sicuramente più facile rendere redditizie delle tratte ferroviarie che collegano due città o sistemi metropolitani che non collegare a queste un intero Paese fatto anche di vallerani e campagnoli. Quanto costerà alle future generazioni lo spopolamento e l’incuria delle periferie, l’affollamento e l’ingorgo dei centri? Lo stesso varrebbe per lo smantellamento di uffici postali in zone periferiche, per la riduzione dei servizi e l’aumento dei costi in generale (tempi maggiori di consegna e aumenti tariffali). Ma quando bisogna fare delle scelte non c`è un solo tipo di costo da tenere in considerazione: ci sono costi di opportunità, cioè le cose che perdiamo prendendo la decisione sbagliata. L’unico modo per evitare errori in futuro è ripensare i criteri che adoperiamo per valutare i tipi di costi: sociali, ambientali, umani, estetici e culturali, e non solo quelli economici come negli ultimi 30 anni. Gli spostamenti sono sempre stati il simbolo della modernità sin dall’invenzione del treno e la ferrovia è stata la dimostrazione costante dello stato di avanzamento di una società (dal treno a vapore allo Shinkansen giapponese, dal TGV francese ad Alptransit). Le ferrovie sono fatte per offrire un beneficio pratico sia all’individuo che alla collettività. E noi non possiamo diventare persone che hanno perso la capacità di condividere lo spazio pubblico a vantaggio di tutti. Gli impianti ferroviari svizzeri, invidiatici da altri Paesi, sono valutati in 80 miliardi di franchi. Soldi pagati dalle generazioni che ci hanno preceduto e da noi. Sono un bene pubblico che dobbiamo tramandare alle generazioni future. Non vedo perché farne regalo al settore privato (potenti investitori svizzeri e/o internazionali). Se questo dovesse rilevare la “quota” pubblica, quindi di tutti noi, lo farebbe solo (1) o riducendo le prestazioni (rispettivamente aumentando i costi per l’utente) dovendo rispondere solo a criteri di redditività economica, (2) o chiedendo comunque ancora allo Stato costose garanzie o un prezzo di acquisto/riscatto fortemente “scontato”. In ogni caso non intravvedo un vantaggio per tutti noi cittadini comuni. Le conseguenze delle privatizzazioni di Poste e Ferrovie inglesi, avvenute negli ultimi 20 anni, o quanto sta avvenendo in Italia con la “devolution” alle Regioni, dovrebbero metterci in allerta. Semmai operiamo in sinergia con interessanti iniziative private (tipo Railvalley) in settori specifici.

Matteo Quadranti, gran consigliere PLR