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21 settembre 2012 – Opinione liberale- Ballate Maltesi
A chi il primato?
Forse sulla scorta di una tradizione giudaico cristiana in base alla quale la natura è stata data in consegna all’uomo perché la domini, e in barba al mito greco di Prometeo, siamo soliti considerare la tecnica come uno strumento a disposizione dell’uomo. Ma è ancora e sempre così? Oppure, antropologicamente, la domanda che ci dovremmo porre non è più : “Cosa possiamo fare noi con la tecnica”, ma “Che cosa la tecnica può fare di noi”. Il campo delle possibili riflessioni sul tema sarebbe assai ampio e travalica lo spazio e le competenze di chi scrive. Provi comunque ognuno di noi ad interrogarsi su quanto ci abbiano modificato la vita, e non sempre in meglio, la radio, la TV, Internet, la posta elettronica, i telefoni portatili e i social networks.
Ma per tornare ora al tema di queste riflessioni, non esaustive, il primo interrogativo aperto è: “Nell’età della tecnica, la politica ha ancora il predominio?” mentre i secondo interrogativo sarà: “L’etica ha ancora un suo ruolo o è impotente di fronte alla tecnica?”.
La politica è stata sostanzialmente inventata da Platone. Prima c’era la tirannide. Oggi la politica è ancora il luogo della “decisione”? Alcuni sostengono di no poiché, per decidere, la politica deve guardare all’economia, e l’economia, a sua volta, per decidere i suoi investimenti guarda alle disponibilità e alle risorse della tecnica. Quando si sostiene che per difenderci dall’invasione dei prodotti cinesi potremo puntare solo sul miglioramento della nostra tecnologia, è come se si riconoscesse il primato della tecnica sull’economia, a sua volta fondato sul primato dell’economia sulla politica. In tal senso la politica diventa la “rappresentazione” della decisione, non più il “luogo” della decisione. Ma già Platone attirava l’attenzione sui possibili rischi (pur tenuto conto, a onor del vero, che la tecnica di allora era ben minuta cosa per rapporto a quella di oggi) di una tecnica che sa “come” si devono fare le cose ma non sa “se” quelle devono essere fatte e “perché” dovrebbero essere fatte. Da qui Platone concludeva al necessario primato della politica sulle tecniche in quanto alla politica incombeva la “regia tecnica” di attribuire alle tecniche delle finalità. Ma oggi la tecnica può modificare la struttura o le modalità del “potere” perché essa dà potere a chi certe tecniche le sa utilizzare. Dieci controllori di volo possono bloccare l’intero traffico aereo, delle potenti multinazionali dell’informatica o degli hackers possono porre la politica in situazioni difficili, se non imbarazzanti. I mezzi di comunicazione odierni impongono alla politica tempi di reazione quasi simultanei, di fatto, togliendo ai politici quel tempo per pensare le proprie risposte. Fatto, questo, comune ad ognuno di noi. Quando la fidanzata, o il fidanzato, manda un sms del tipo: “Dove sei? Che fai?”. Se la risposta non è immediata, il rischio delle conseguenze ci è abbastanza immaginabile. Per alcuni la tecnica potrebbe anche determinare la fine della democrazia poiché essa ci pone dinanzi a problemi sui quali siamo chiamati a pronunciarci spesso senza alcuna competenza. Si pensi ai problemi quali la fecondazione assistita, al dibattito sulle centrali nucleari, o a quello sugli organismi geneticamente modificati. In questi ambiti si possono giudicare con competenza tutti i termini dei problemi solo se si è risp. un biologo, un fisico nucleare o un genetista. Le persone prive di queste specifiche qualifiche prendono posizione su basi “irrazionali” quali possono essere: l’appartenenza ideologica, politica, religiosa; il potere e l’ingenza del marketing di gruppi d’interesse; la fascinazione verso chi sa essere maggiormente persuasivo in televisione, o infine, la simpatia di un politico. Dei 35 dialoghi che Platone ci ha lasciato, una decina sono indirizzati contro i retori e i sofisti. Secondo il filosofo ateniese costoro dovevano essere espulsi dalla città perché non può nascere un sistema democratico finché ci sono tali mistificatori del linguaggio e del consenso. Platone oggi definirebbe questo sistema “telecrazia”, noi magari più mestamente diremmo spesso “populismo”. E i populisti oggi invocano politici decisionisti. Ma nell’età della tecnica ciò è quanto di meno efficace possa esistere. Il lavoro del politico sarà sempre più di mediatore. Piaccia o no alle nostre “irrazionali aspettative” di un mitico leader democratico in grado di risolvere i problemi generati dalle complessità di questo mondo. Il politico dovrà essere attento osservatore, indipendente e critico al punto da discernere se il biologo, il fisico nucleare o il genetista gli forniscono pareri obiettivamente scientifici o economicamente interessati. E qui s’innesta il tema dell’etica nell’età della tecnica che seguirà su OL del 19 Ottobre 2012 (seconda parte).
Matteo Quadranti