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12 maggio 2005 – Opinione liberale
Fiducia, economia, progresso
In un recente saggio dal titolo “In compagnia degli estranei. Una storia naturale dell’economia” l’economista britannico Paul Seabright espone le sue tesi giusta le quali la fiducia è uno dei motori dell’esistenza: la chiave di ogni forma di cooperazione commerciale e politica. Fiducia in sè stessi, negli altri (estranei e meno estranei) e nelle istituzioni.
Se così fosse, come ritengo debba essere, non c’è da stupirsi se nel nostro Paese l’economia fatica e la politica perde di credibilità. Nel nostro bel Ticino (per poco rallegrante che sia, possiamo aggiungere che non siamo i soli. Basti guardare alla Penisola), il motore della fiducia s’è inceppato. Non vi sono segnali particolari di una reale fiducia nei nostri mezzi e nelle nostre potenzialità e ciò soprattutto in una società dove vige sempre più l’individualismo a discapito dell’iniziativa individuale intesa come potenziale di creatività e spirito d’impresa. Oggi il posto di lavoro e il sostegno lo si cerca innanzitutto nel settore statale (ancora protetto) e uno degli sport più in uso nella società è quello di non far fronte ai propri obblighi secondo i propri mezzi: basti pensare a quanti sempre più concludono contratti che poi rimettono in discussione per non pagare (una volta bastava la fatidica stretta di mano) e quanti vivono o vorrebbero vivere al di sopra dei propri mezzi e poi o s’indebitano (un precetto esecutivo intimorisce oggigiorno pochi o nessuno) o rubano (per poi contestare in vari modi le sentenze di condanna). Tutto ciò contribuisce a rompere la fiducia negli altri e di riflesso a non riceverne. Troppo spesso andiamo a rimorchio.
La fiducia in sé stessi così come l’esempio nel rispetto degli impegni assunti andrebbero anche infusi ai cittadini da una classe politica degna ed affidabile nonché protesa verso l’edificazione del nostro futuro. Ma così non è da tutte le parti politiche. Indipendentemente dall’esito del voto sull’iniziativa MPS “I soldi ci sono” dell’8 maggio scorso (fortunatamente respinta), v’è da dire che il comportamento del PS cantonale, ancora una volta, non è stato di certo un esempio etico per i cittadini. Non è infatti accettabile che una forza politica in governo raggiunga degli accordi con le altre e pochi mesi dopo si rimangi tutto. Dove va a finire la fiducia (o il principio di concordanza) tra partiti e politici e di riflesso verso le istituzioni? È meglio non darsi una risposta per non cadere in volgarità.
Andando oltre, il dibattito politico cantonale resta già da troppo tempo zavorrato alla questione del risanamento finanziario del Cantone impedendo, come vorrebbe invece il PLRT, di affrontare riforme necessarie al nuovo, indispensabile progetto di Paese. Come Partito di maggioranza relativa, responsabile e centrista non possiamo di certo lasciare che questo Cantone si svuoti degli utili delle persone giuridiche e dei redditi delle persone fisiche, in particolare quelle qualificate (che se ne andrebbero) creando ricchezza, iniziative, progresso nonché contribuendo alla ricerca e alla formazione altrove che non da noi. Come Partito interclassista non possiamo permettere ciò, perché significherebbe perdere posti di lavoro anche per il ceto medio e basso; perché significherebbe che i nostri giovani, con gravosi sacrifici per le famiglie, sarebbero destinati a perseguire una formazione qualificata all’estero (i Paesi anglosassoni sono già mete privilegiate ma per pochi eletti) e poi reperire impieghi in altri mercati (Cina, India, Paesi dell’Est sono i nuovi Eldorado – non senza conseguenze negative sul Vecchio Continente). Se l’esperienza estera può essere anche giudicata positiva se limitata nel tempo, diverso sarebbe se in questo Cantone non si facesse nulla per far entrare o rientrare poi questi “cervelli” con i loro progetti e i loro redditi. Insomma questo Cantone deve mantenere ed acquisire attrattività. Per riprendere un recente articolo del sociologo italiano Francesco Alberoni riferito alla realtà italiana, si tratta di “reinventarsi mercanti per conquistare il mondo”. Quest’ultimo parla della necessità di ritrovare slancio vitale (con progetti integrati tra economia, formazione e ricerca), fiducia nella nostra capacità (occidentale in genere) di eccellere, gusto del bello e della perfezione (tecnologica), piacere dell’avventura e del creare (cose e idee) per poi riesportare il tutto nel mondo come fecero in passato i mercanti di Venezia, Genova e Firenze e come invece hanno saputo fare più recentemente, e nell’ordine, Giapponesi, Cinesi e Indiani.
In questo senso ritengo che la Sinistra nostrana (come quella italiana) debba riflettere almeno un po’ sulla necessità di andare a lezione d’inglese in Gran Bretagna presso la scuola del New Labour di Blair. Infatti, pur con tutte le considerazioni che hanno accompagnato la rielezione allo storico terzo mandato di Blair quale Primo Ministro del Regno Unito – per la maggior parte legate alla sua determinazione nella scelta di attaccare l’Iraq -, v’è senz’altro da dire che quest’ultimo ha attuato una politica economica liberale (non liberista ma neppure statalista) tanto da essere definito un liberale post-socialista. Fautore del grande cambiamento del Partito laburista, Blair ha saputo gettare alle spalle senza rimpianti un secolo di socialismo (con i suoi miti infranti) per entrare nell’alveo del liberalismo sociale, difensore del mercato e delle libertà individuali, e attento a sostenere i meno avvantaggiati senza cadere nell’assistenzialismo. Tale politica ha fatto si che l’Inghilterra segni dal 2000 un tasso di crescita del 2.8%. È pertanto l’ottima performance economica la principale ragione della sua rielezione. Egli ha certo sostenuto i settori della formazione e della ricerca ma ha anche chiesto e ottenuto che le tasse studentesche venissero fortemente aumentate. Una svolta culturale ancor prima che politica la quale è riuscita senz’altro grazie al forte carisma di Blair. Egli ha saputo leggere e anticipare i cambiamenti in atto nella società moderna. Di tutto ciò la nostra Sinistra politicante non sembra avere eco così com’è concentrata a perseguire una politica vetero statalista e conservatrice (altro che progressista!).
Matteo Quadranti