Tintin, lo yeti e la politica

23 dicembre 2011 – Opinione Liberale- rubrica Ballate Maltesi

Il titolo di questa mia rubrica, per chi lo ricorderà (cfr. OL del 23.08.2007), trae spunto dal personaggio del fumetto di Hugo Pratt, l’avventuriero Corto Maltese. A quattro anni di distanza torno ad un personaggio dei fumetti grazie anche al film di Steven Spielberg uscito quest’anno nelle sale cinematografiche dal titolo “Le avventure di Tintin – Il segreto dell’Unicorno”. Andando oltre agli aspetti commerciali e cinefili, il film ha riportato alla luce questo indomabile eroe del fumetto disegnato da Hergé e pubblicato per la prima volta il 10 gennaio 1929. Toh! Anno, quello del 1929, della crisi finanziaria di cui stiamo vivendo pure un revival dal 2008 in avanti. Sul personaggio di Tintin e con riferimento a una delle sue avventure, quella in Tibet, si è chinato il filosofo francese Michel Serres il quale ritiene che dovremmo trarne una grande lezione morale. Per Serres, Tintin è una sorta di “santo laico”, un “cuore puro”, come lo definiscono i monaci tibetani, che agisce sempre conformemente al suo dovere, senza esitazioni e senza darsi mai per vinto. Ma l’essenziale della visione del suo creatore Hergé va oltre ed è più sottile e profonda. Secondo Serres, proprio l’avventura “Tintin in Tibet” ci fa scoprire “la chiave di un grande segreto, la verità rara e inestimabile della morale”. La caccia allo yeti, l’abominevole uomo delle nevi, inizia con una grande paura e finisce con la scoperta da parte dell’amico Tchang che non si tratta affatto di un mostro selvaggio, ma di un essere buono con cui gli uomini dovevano aver coabitato prima di averlo cacciato in luoghi inaccessibili. La morale “più profonda e terribile” che se ne ricava è che “l’abominevole è buono e si comporta come nessun uomo civilizzato farebbe, con dolcezza e carità”, anche con il suo nemico. Non ha nessuna intenzione – lui, possibile preda – di ricominciare la caccia nei confronti di quel bambino che lo aveva considerato un mostro. Un’altra figura similare potrebbe essere quella del Gobbo di Notre Dame di Hugo. La domanda allora diventa: Che cos`è abominevole per noi? E che cos’è la bontà? Domanda quest’ultima che forse ci poniamo solo sotto Natale mentre ce la dovremmo porre costantemente e non ipocritamente. La vera grande lezione morale è dunque che “bisogna saper riconoscere il Bene anche quando è portato dalla figura del Male. O, meglio, che bisogna saper fare del Bene persino col Male”. Hergé ha quindi anticipato una delle grandi avventure morali del nostro tempo: il viaggio umanitario, quello alla ricerca della bontà. L’abominevole non vive sul tetto del mondo, ma rischiamo di ritrovarcelo tra di noi, sottocasa, al lavoro o sul nostro stesso pianerottolo. La caccia al mostro è sempre in procinto di ricominciare.
Dove sta il nesso con la politica? Qualche spunto.
La democrazia, oltre che innovazione continua, è e deve essere per sua definizione pluralista e aperta. Essa non può essere solo tradizione, conservatorismo e nazionalismo. Ce lo insegnava già Karl Popper e per certi versi ce lo rammenta un filosofo politico dei nostri giorni, Alessandro Ferrara, il quale propone che la democrazia deve tornare ad avere la capacità di raccogliere nuove sfide (quelle globali, della finanziarizzazione dell’economia, delle diseguaglianze sociali,…) e trasformarsi progressivamente nell’ottica di queste sfide. La democrazia è quindi un viaggio, una scoperta di ciò che sta fuori dal nostro Paese, per riscoprire ciò di buono vi è. Fosse anche solo per non continuare a vedere, costruire e enfatizzare il Male che avremmo in casa. Un viaggio come quelli fatti da Tintin. Per evitare il declino e i rischi di una democrazia populista (che ha bisogno di un Leader – padre ma anche padrone -, della continua costruzione di un pensiero unico, univoco e unilaterale, e infine di un nemico: abominevole, spaventoso ed esterno), vi è quindi bisogno di un pluralismo riflessivo contrapposto al decantato decisionismo che provoca guai. Non lo dice il sottoscritto, bensì Daniel Kahneman, psicologo, che ha però vinto il Nobel dell’Economia nel 2002, il quale ci consiglia di rallentare: quando si teme di sbagliare o quando si vogliono prendere decisioni in fretta e furia perché lo chiede magari il mercato o una tal maggioranza politica, meglio prendere tempo e analizzare di più anziché agire d’impulso. Riflettendo si potrebbe comprendere che si sta commettendo un errore o qualcosa di non morale. Due esempi? (1) Il Leader populista ostentando solo certezze e nessun dubbio, promettendo tutto e il contrario di tutto alla “sua gente”, in realtà la inganna. (2) I supermanager della finanza non hanno forse pensato immoralmente e contro gli interessi delle banche che li hanno prezzolati e i clienti, risparmiatori e cittadini?
Nella tradizione medievale, al corno dell’unicorno, tornando a Tintin, veniva attribuita la capacità di neutralizzare i veleni. E allora, se la finanza e l’economia non sono certo gli abominevoli nemici, è pur anche vero che nemmeno lo Stato, con le finanze pubbliche, e l’amministrazione pubblica lo sono. Basta anatemi e veleni tra destre e sinistre estreme, tra lobby economico-finanziarie e sindacalismi. Ci vuole un ritorno al centrismo, alla riflessione, all’ideale democratico di coesione sociale e riduzione delle diseguaglianze. Forse qualche segnale in questo senso lo iniziamo a vedere. Non diamoci per vinti, facciamo il nostro dovere. Saremo solo idealisti? Sarà un’utopia? Beh. Almeno a Natale regaliamoci questa illusione di bontà, di volontà di fare bene il Bene, quello generale.

Matteo Quadranti

– Michel Serres, Hergé mon ami
– Karl Popper, La società aperta
– Alessandro Ferrara, Democrazia e apertura
– Daniel Kahneman, Thinking fast and slow (cfr. Intervista “Elogio del pensiero lento”, 11.12.11, Corriere della Sera, inserto “La lettura”, pag.5)
– Silvano Toppi, L’altro pericoloso debito ignorato, in La Regione, 13.12.2011.