Ticinesi tra paura e coraggio

20 ottobre 2011 – La Regione

Chi ha avuto un’infanzia felice, quando diventa adulto e si vede confrontato coi mutamenti e le difficoltà della vita, sogna talvolta di poter tornare indietro ai bei tempi andati del benessere e della spensieratezza. È umano e legittimo, ma non è realistico, non ci fa crescere e non ci risolve i problemi. La paura, diceva Eschilo, ci rende deboli. Abbatte il senso di sicurezza, distorce le percezioni, inibisce la creatività, creando mostri e ostacoli. La paura, anche di fronte ai cambiamenti, è fonte di numerosi mali sociali. Essa da origine a superstizioni, ai sentimenti d’odio razziale e tribale, all’ostilità verso il nuovo e il diverso, alla rigidità e al conservatorismo, e spinge a fare proprie prassi e credenze superate. Di contro, il coraggio è una forma di salvezza (Platone). L’uomo audace va incontro al pericolo, non lo rifugge. Se il tuffatore pensasse sempre allo squalo, non metterebbe mai le mani sulla perla (Muslih Al-Din Sa’di). Se ne resterebbe da solo sulla sua barchetta: rassegnato e un po’ più povero. Mi viene in mente una favola che racconto a mia figlia di sei anni. “C’era una volta un bimbo che aveva paura di tutto. C’era anche, nella stessa storia, un uomo che sembrava non avere paura di niente. Un giorno quest’ultimo, saputo di quel bimbo, decise di aiutarlo e andò a casa sua. Entrò nella sua cameretta e lo trovò nascosto sotto il letto. Gli chiese quindi se là dove si nascondeva avesse smesso di avere paura. Il bimbo rispose di no, la paura c’era sempre. L’uomo gli spiego allora che era normale, perché quello di cui aveva paura se lo portava dentro, era dentro di lui, non fuori. Quindi scappare, rinchiudersi nella falsa sicurezza di quattro mura, non serviva. Col tempo, al bimbo tornarono in mente quelle parole e pian piano iniziò a cambiare qualcosa. Le paure c’erano ancora ma a un certo punto non gliene importò più. Il mattino di una domenica, il bimbo uscì di casa, accarezzo il cane del vicino che aveva sempre temuto. Da allora, in quel paese, si racconta che il bimbo, cresciuto, abbia attraversato deserti infuocati e montagne alte fino al cielo, che abbia visto il fondo del mare, raccogliendo perle malgrado gli squali, e le viscere della terra”. Il populismo, per sopravvivere, ha bisogno di clamore, di tenere alta la tensione sociale e costruire contrapposizioni, di foto propagandistiche con propri eroi-guerrieri, di cavalcare paure, mostrare minacce più o meno reali, di proporre soluzioni semplici, incurante delle incoerenze. Nulla lo danneggia di più di un discorso politico sobrio, educato ed educativo, come invece è stato quello dell’ ”uomo che non aveva paura di nulla”. Una certa destra populista, sogna e vuol farci sognare di poter tornare ai bei tempi, quelli degli anni del boom e della costruzione post bellica, della finanza allegra, quelli del segreto bancario impenetrabile perché anche i rapporti tra Stati erano più rispettosi, quelli dei posti di lavoro per tutti gli svizzeri, magari grazie a banche, ex regie federali e apparato statale (che nel frattempo si vogliono smantellare oltre). Quasi avesse nelle sue mani la mitica “macchina del tempo”. Il sogno è legittimo, ma purtroppo, fuori dal ridotto svizzero/ticinese, il mondo è cambiato. La globalizzazione è una realtà dalla quale non possiamo scappare. Dobbiamo affrontarla. È il frutto della caduta del muro di Berlino, della libera circolazione del capitale, degli sviluppi tecnologici, della possibilità di delocalizzare la manifattura in paesi a basso costo. Questo mondo, coi nuovi Paesi emergenti (tutti extra UE), lo ha creato la libertà del mercato, non gli Stati nazionali che invece hanno dovuto prenderne atto e cercare di adeguarsi come lo hanno fatto multinazionali, imprese e banche svizzere. La competitività si è fatta agguerrita perché globale. Anche questo ha fatto commettere errori ad alcuni, troppo bramosi di conquistare mercati globali e fungere da manager dalle retribuzioni altrettanto globali. In questo contesto, noi comuni mortali, i nostri giovani, cosa possono fare? Dobbiamo regredire e ascoltare chi ci dice “chiudiamoci nelle nostre 4 mura”? O dovremmo prendere in mano la nostra vita, quella reale e futura, con mente aperta, flessibile e pronta ad affrontare le sfide future con coraggio e non paura? Non sarebbe meglio concentrare, educatamente, le energie in progetti concreti, realistici e condivisi (ad es. nel miglioramento dei Bilaterali) invece che nelle liti tra partiti?

Avv. Matteo Quadranti, Gran Consigliere PLR