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25 gennaio 2013 – Opinione Liberale, Rubrica Ballate Maltesi
Rischio analfabetismo e rischio democratico
Secondo Roland Barthes, quando un autore scrive un “testo” e lo pubblica, poi il controllo del suo prodotto passa ai lettori che lo possono comprendere o non comprendere in vari modi. Spesso si pensa che la prosperità, l’industrializzazione e l’urbanizzazione, oltre alla scolarizzazione obbligatoria portino alla moltiplicazione dei lettori potenziali. Tuttavia la corrispondenza tra la ricchezza di una nazione e i suoi tassi di alfabetizzazione è lungi dall’essere perfetta. Se gli analfabeti in senso stretto non leggono, è altresì vero che per leggere (a tutti gli effetti) un libro o un articolo non è sufficiente saper leggere. Nella sfera che gli inglesi chiama “illiteracy” si devono aggiungere anche coloro i quali, pur avendo percorso un regolare iter scolastico, rivelano una limitatissima capacità di utilizzare la scrittura e la lettura, di comporre e comprendere testi semplici. In realtà l’analfabetismo funzionale (che comprende l’incapacità di interpretare grafici e tabelle o un testo scritto o orale, sia esso uno spot, un discorso politico o un articolo di giornale) non è facilmente quantificabile ma l’Ocse ci aveva provano qualche hanno fa. Guardando ai risultati di questa inchiesta per quanto attiene alla vicina penisola, risulta in definitiva che circa il 70% degli italiani non possiederebbe le competenze “per orientarsi e risolvere, attraverso l’uso appropriato della lingua italiana, situazioni complesse e problemi della vita sociale quotidiana”. Sono numeri che in una situazione normale e in un Paese consapevole, dovrebbero far scattare subito l’emergenza sociale. Certo potremmo consolarci, restando in superficie, scartando a priori che una tale percentuale possa corrispondere alla situazione svizzera o ticinese. Ma possiamo esserne così certi? E la politica è sufficientemente sensibile a questo rischio e consapevole di tutte le implicazioni derivanti da questo malessere culturale? Ho apprezzato molto la difesa di Giovanna Masoni Brenni (apparsa di recente sul Corriere del Ticino) a favore della Cultura, in particolare nel suo contrapporla alla “Kultura” e al “kulturame”, anche della lingua italiana, a cui assistiamo, non solo ogni domenica, da oltre 20 anni. È vero, la cultura è educazione, istruzione, conoscenza, lavoro e fatica. Essa ci aiuta però a distinguere l’accettabile dall’inaccettabile.
Va altresì detto che occorrono comunque i mezzi per comperare un libro, il tempo libero per leggerlo, talvolta incentivi sociali e una certa dose di istruzione per capire e gioire di cosa si legge. Poche di queste condizioni esistevano prima dell’Ottocento. E quando emersero negli ultimi 100 anni, furono subito sottoposte alla concorrenza di nuovi mezzi per la diffusione della cultura: il cinema, la radio e poi la televisione e non da ultimo la Rete – tutti mezzi per i quali le competenze necessarie al consumo sono inferiori a quelle richieste per la lettura. Oggigiorno pare essere privilegiata una conoscenza emotiva e frammentata. Nel suo libro “La quarta rivoluzione”, Gino Roncaglia (insegnate d’informatica applicata alle discipline umanistiche) ha indagato le dinamiche della lettura nel passaggio dalla carta all’era digitale. Egli scrive: “Più che un mondo di analfabeti parlerei di un mondo disabituato alla lettura complessa, perché i testi che circolano nel web sono per lo più brevi, frammentari, semplici e informali”. Quel che viene meno è il discorso argomentativo, costruito da architetture di sintassi e di pensiero. La scrittura è il luogo dell’esattezza. Lo sosteneva già Italo Calvino nelle sue “Lezioni americane”. Ma anche la lettura dovrebbe volgere all’esatta comprensione di un testo. Il rischio altrimenti è di farsi abbindolare dai demagoghi e dagli approfittatori di ogni risma (politica, pubblicitaria,…). Se scrivere non è per tutti, quantomeno leggere e comprendere un testo dovrebbe essere una dote democraticamente sostenuta e incentivata. “L’inesattezza – scrive Beppe Severgnini – è una compagna gentile, che ci sussurra di non fare sforzi. Cercare, preparare, disporre, controllare, ricordare, mantenere le promesse costa fatica. Eppure l’umanità si divide tra quelli che fanno (bene) ciò che dicono; e gli altri, che annunciano inutilmente e promettono invano”.
Vi è poi il rischio di cadere nella rete della Rete, dei videogiochi, dei social netwoork e diventare avatar anonimi della multimedialità. “La lettura senza selezione e prudenza, tipica dello sfoglio disordinato e bulimico della Rete, può generare false credenze, alimentare miti pericolosi, cementare gli odii peggiori”, scrive Ferruccio de Bortoli sul Corriere della Sera. Una buona lettura insegna a dar forma e organizzazione logica alle proprie idee. Giuseppe Pontiggia nel suo libretto “Leggere” sottolineava il rapporto tra lettura e libertà. Egli scriveva: “ Dobbiamo difendere la lettura come esperienza che non coltiva l’ideale della rapidità, ma della ricchezza, della profondità…una lettura amante degli indugi, dei ritorni su di sé, aperta più che alle scorciatoie, ai cambiamenti di andatura della mente”. La lettura ci dà l’emozione di viaggiare nel tempo, di essere contemporaneamente in più luoghi. Il tempo che dedichiamo alla lettura è forse lo squarcio di libertà di cui siamo unici titolari (Seneca, Lettere a Lucillo). La lettura e la capacità effettiva di lettura sono uno dei modi di misurare il nostro grado di civiltà. Le idee che si acquistano con la lettura sono il germe di quasi tutte le scoperte, è come aria viva che si respira senza accorgersene, e che è necessaria alla vita (d’Alambert, Enciclopedia).
Matteo Quadranti