Integrazione

24 Agosto 2006 – Opinione Liberale

Un nuovo contratto

Il tema dell’Integrazione è di attualità come lo hanno attestato buona parte dei discorsi commemorativi espressi in occasione del 1 agosto in Svizzera, complice le prossime votazioni in materia di nuove leggi sugli Stranieri e sull’Asilo che il nostro Partito sostiene in quanto sono atte a ridurre gli abusi e a “premiare” i soli individui meritevoli. In genere l’argomento viene affrontato in toni positivi salvo i conservatori nazionalisti che auspicano una Svizzera chiusa su se stessa, come se da ciò vi fossero solo vantaggi: in particolare vantaggi che dall’estero ci dovrebbero essere dati evidentemente senza nessuna contropartita. D’altro canto vi è pure una sinistra che accecata ideologicamente minimizza i problemi e appare tanto facilona quanto poco previdente. In genere nessuno contesta l’irreversibilità dello sviluppo tecnologico, dell’invecchiamento, della globalizzazione, ecc…, mentre i fenomeni migratori e le conseguenze a livello d’integrazione trovano, irrazionalmente, più accoliti nel ritenerli reversibili o evitabili. La realtà è che la storia dell’uomo è sempre stata caratterizzata dalle migrazioni e non sempre dai paesi poveri verso quelli ricchi o dal sud al nord. Un certo timore – comprensibile e non sempre irrilevante – lo suscita la questione Islamica (e l’immigrazione da questi paesi) che in un’ottica storica va riconsiderata. La cultura islamica, o meglio musulmana, è stata anche portatrice di un’espansione verso Est della cultura ellenistica a cui a sua volta apportava elementi innovatori delle culture orientali, nuove forme di sintesi filosofico-scientifica, nuove prospettive di sperimentazione tecnologica. Essa attraverso il modello politico ottomano ha rimodellato l’esperienza di governo romano-orientale trasmessa dai bizantini ed è stata uno dei fattori fondanti della modernità, spingendo gli europei all’avventura oceanica del Cinquecento. La storia dell’Europa mediterranea va intesa come la storia dei processi d’incontro, scontro, scambio e influenze reciproche createsi tra varie civiltà dove si sono fuse tradizioni, tramite le migrazioni, provenienti dall’Oriente e dall’estremo Nord. La matrice “nordica” della civiltà europea è stata per questo talvolta considerata prevalente rispetto alla facies mediterranea ma, se questo poteva valere per i secoli altomedievali che videro il continente soprattutto ripiegato su se stesso, a partire dal X-XI secolo il rapporto con il Mediterraneo tornò ad essere al centro della vita europea e verosimilmente lo è tuttora (cfr. “Storia dell’Europa e del Mediterraneo” diretta da A. Barbero, vol.VIII, Salerno ed., Roma, 2006). Integrazione e migrazione sono una componente millenaria della nostra civiltà e cultura ed hanno portato molto spesso benefici e progressi (lo sviluppo economico degli ultimi 60 anni in Svizzera è avvenuto anche grazie alla manodopera estera), spesso più di certe dominazioni o ideologie da cui sono nate forme di totalitarismi. Pensare in termini di “fascismo islamico” (cfr. Paul Berman, Terrore e Liberalismo, 2003), come nel secolo scorso si sono vissuti in Europa fenomeni quali il nazismo, il fascismo e il franchismo – i quali, anch’essi, perseguivano tutti un’utopia fondata sul desiderio di restaurazione di “civiltà” (?) mitiche del proprio passato -, potrebbe aiutarci a inquadrare meglio la questione e capire che il fascismo islamico è un movimento politico moderno e purtroppo “combattente” che va distinto dal “conflitto di civiltà”. Al pari degli altri totalitarismi, il fascismo islamico ha creato e crea da anni le sue vittime (milioni) anche tra gli “altri” musulmani moderati. Un tale fascismo potrà essere neutralizzato innanzitutto con la persuasione. In questo senso un adeguato, completo e efficace processo d’integrazione è fondamentale. Ciò necessita di regole o meglio, in termini giuridici, di stabilire diritti e doveri, e quindi “sanzioni”, tra le parti in causa per evitare o ridurre i conflitti potenziali, i quali non sono solo tali tra la popolazione autoctona e quella straniera bensì pure tra diverse etnie residenti come accaduto di recente in alcune città a causa anche di una ghettizzazione in alcuni quartieri. Si tratta pertanto di “sottoscrivere” un nuovo contratto “sociale” in tema d’integrazione, una relazione che dev’essere biunivoca. Una politica intelligente in materia deve quindi far astrazione delle ideologie eccessivamente nazionaliste per i quali l’immigrato è il Male che inquina e dei terzomondismi per i quali il “disperato della terra” va salvato quasi indipendentemente dal fatto che sia o diventi un delinquente.

Il PLR affronta il tema dell’integrazione da tempo e non solo sotto la pressione delle contingenze del voto di settembre. Il partito ha elaborato un nuovo concetto di politica dell’integrazione nell’ambito del documento strategico “La Svizzera dell’Apertura” (cfr. www.prd.ch). A livello cantonale con un’apposita scheda è stata presentata all’ultimo Congresso (cfr. www.plrt.ch). A Morat si è tenuta, lo scorso fine settimana, l’assemblea dei delegati PLR in cui si è discusso il documento sugli obiettivi, i fondamenti e l’utilità di una politica dell’integrazione come missione prioritaria del nostro partito è ciò in forza dei principi e dei valori storici del liberalismo. L’integrazione dello straniero richiede la volontà di quest’ultimo di appartenere alla nuova comunità, di assimilarne valori e cultura democratica, così come la disponibilità degli autoctoni di accoglierlo. I costi sociali, giudiziari e della salute di una politica d’integrazione fallimentare sono e sarebbero finanziariamente elevati per l’intera popolazione. Una politica d’integrazione attiva è un investimento per la sicurezza e la pace sociale, l’arricchimento multiculturale, l’uguaglianza delle opportunità scolastiche e professionali, la nostra economia. Il progetto liberale di politica d’integrazione si fonda sul principio “imporre e incoraggiare”, ossia imporre il rispetto di doveri con l’eventuale inasprimento di “sanzioni” e incoraggiare col riconoscimento di diritti (anche politici) gli stranieri ben integrati . All’assemblea dei delegati di Morat sono stati sottoposti quesiti su principi e misure di dettaglio, anche “provocatorie”, che sono stati approvati quasi integralmente (8 su 10), ivi compresa l’idea di una legge quadro federale sull’integrazione. Purtroppo dalla discussione non è emerso chiaramente il principio di laicità soprattutto della scuola pubblica che è un cardine del PLR. Infatti si è sottolineato che la cultura cristiana è parte della società svizzera. Questa affermazione, se non errata in parte, appare invero troppo conservatrice e in ogni caso non tiene conto in modo pragmatico che il futuro giocoforza multietnico e aperto della Svizzera non sarà solo cristiano come non lo sarà quello di tutta l’Europa. Fondamentale sarà trasmettere agli stranieri i valori democratici, della tolleranza e libertà di Credo.