Felicità e democrazia

Maggio 2011 – PROGRESSO SOCIALE

Tra diritti e doveri

La felicità è il giusto scopo della vita? Sì. Ogni mezzo è consentito pur di raggiungerla? No. Una riflessione sul nesso fra democrazia e felicità rinvia alla formula dei padri della Costituzione americana, i quali, nel XVIII sec. indicarono “la vita, la libertà e la ricerca della felicità come diritti inalienabili di ogni individuo”. All’epoca, la ricerca della felicità era l’obiettivo degli oppressi. Lo scrittore e saggista Claudio Magris ha recentemente riproposto la polemica politico-culturale, ottocentesca, tra il conservatore Thomas Carlyle e il liberale John Stuart Mill in merito all’abolizione della schiavitù. Carlyle difendeva il mantenimento della schiavitù e attaccava quella che definiva “un’alleanza di filantropi liberali e anime belle che credono nell’eguaglianza ovvero negli eguali diritti e nell’eguale dignità di tutti gli uomini e che hanno voluto abolire la schiavitù dei neri”. Schiavitù che secondo lui andava mantenuta perché era mera utopia correggere la natura umana e il suo destino, che è quello di soffrire. Evidentemente, secondo lui, era destino, natura e volontà di Dio che i neri fossero servi dei bianchi. Appare chiaro che in questa visione vi era la difesa di interessi particolari di una élite. La schiavitù e la sua abolizione sono solo uno tra i molti esempi di lotta che nei secoli dovettero fare coloro i quali si batterono per il progresso sociale, per le libertà, per la giustizia, per la ricerca della felicità e contro gli oppressori, le élite privilegiate.

Possiamo affermare che si tratta di cose del passato? Questo tipo di storia è finita? Direi ancora una volta, purtroppo, no. Cambiano le élite, i tipi di privilegiati e gli ambiti, ma il tema di fondo rimane attuale. La sempre maggior divaricazione tra i detentori di redditi alti (che si battono per il meno-Stato e per la propria felicità) e i detentori di quelli bassi (la cui serenità, più che felicità, dipende dallo Stato) ne è un esempio. Ma anche la classe media, sempre più in difficoltà a giungere alla fine del mese, vede la propria ricerca della felicità messa in pericolo nella misura in cui si vuol considerare che la realizzazione di sé, del proprio destino e della propria felicità, possa passare da un lavoro retribuito adeguatamente e il più possibile sicuro, per la propria famiglia e per i propri figli. Il liberale Mill, pur non sottovalutando il lavoro, senza il quale non potrebbe esistere quel libero mercato a lui caro, affermava che esistono valori più alti e che non è il lavoro in sé, quanto la sua finalità, a dare senso alla vita.

È quindi evidente che anche negli anni in cui viviamo, un certo grado di giustizia sociale sarebbe il modo migliore per accedere alla felicità possibile. Libertà e giustizia sono due termini di un binomio che nessuno ha saputo finora sostituire con qualcosa di meglio. E lo stesso vale per la democrazia, che seppur malata, resta il miglior sistema inventato finora. Da qui parte un libro-dialogo sulla democrazia come luogo di felicità , ovvero come cornice adeguata in cui la libertà dell’individuo – intesa come libertà civile, e non libertà assoluta – si trasforma in felicità proprio perché dà luogo a una comunità non schiacciata dall’arbitrio. In genere nel mondo occidentale il problema resta quello di saper rendere i valori costituzionali aderenti a una società che si trasforma. Il crollo delle ideologie e la modernità delle nuove tecnologie avrebbero dovuto innestare la consapevolezza democratica sull’affermazione di un più saldo spirito civico. Purtroppo sappiamo che non è andata così. Di contro il nesso tra diritti e doveri si è sciolto. Sono venuti meno i doveri e alcuni diritti si sono sfilacciati mentre altri pare abbiano assurto a diritti individuali e assoluti al punto di non essere più “libertà civili” nell’interesse di una “comunità” più felice. Ognuno pensa per sé e per i propri interessi particolari, nel breve termine, mentre i valori “più alti” (tra i quali oggi inserirei pure quelli ambientali) e le visioni di una società più equa, sostenibile e migliore, sono sacrificati sull’altare di un apparente eterno presente. Ma cosa ci riserva la modernità? Cosa ci porterà il domani? Se la politica, che dovrebbe essere distinta dal potere, è in crisi, allora in crisi è la sua forma, ovvero la democrazia. Il punto è sapere se tale crisi porterà all’affermazione duratura di modelli populistici sempre più estranianti, ma vittoriosi sul piano del consenso: e in tal caso, sarà davvero la fine del binomio libertà-giustizia o la discriminante consisterà nel proporre un più netto confine tra destra e sinistra. Con una nuova capacità di immaginare la società e di proporre ai cittadini un disegno razionale. Certo i movimenti populisti che promettono tutto e il contrario di tutto, hanno vita facile in una società come quella attuale: individualistica e edonistica, laddove ognuno pensa acriticamente alla propria felicità, ai propri diritti e meno ai propri doveri, anche verso la comunità. E quindi si impone qualche riflessione sulla felicità.

Uno stato di felicità individuale e fine a se stesso minaccerebbe cose cui dovremmo dare pari o maggior valore: il bene comune, la felicità per il maggior numero di persone, foss’anche per un tornaconto indiretto, il clima e l’ambiente. Una vita degna di essere vissuta è certo una vita di benessere (non solo materiale) ma con la connotazione attiva dell’agire bene. Ciò deriva dall’uso della più alta facoltà umana, la ragione, che dovrebbe portarci a vivere con saggezza e giustizia (i.e. eticamente), perseguendo le virtù che si collocano nell’aurea via di mezzo , . Così facendo si dovrebbe giungere ad essere rispettosi e premurosi per gli altri, per la qualità della vita altrui, per le bellezze del mondo.

La felicità non pare raggiunta nell’Occidente industrializzato, ricco di offerte per il tempo libero e di beni di consumo. Stando all’Happy Planet Index (HPI) le isole Vanuatu sono il Paese più felice del mondo. Di contro, gli Stati Uniti si collocano al 150° posto, la Germania all’81° (4° paese più felice in Europa), i paesi scandinavi tra il 112° e il 123°, il Kuweit al 159°. Dagli anni ’50, negli USA il reddito effettivo e il tenore di vita sono raddoppiati, ma la percentuale delle persone che si reputano felici non è aumentata, bensì rimasta uguale a quella di 50 anni fa. In un’inchiesta del 2005 del “Journal of Development Economics” su un campione di 350 mila europei e statunitensi, malgrado il PIL fosse aumentato in media del 2.1% all’anno, il benessere percepito è risultato diminuito. Quindi la felicità non aumenta proporzionalmente al reddito. L’economia della felicità (Happiness Economics) è un ramo promettente della ricerca con cui si vogliono misurare: la serenità di un popolo e il successo dei governi, col metro, non più del PIL, e nemmeno con il HDI (Human Development Index, che misurava anche l’aspettativa di vita e l’istruzione), bensì di un “Indice di Serenità Nazionale”. Richard Layard della London School of Economics and Political Science rovescia la scala dei valori in essere attualmente. La maggior parte degli abitanti del ricco Occidente compra cose di cui non ha bisogno e, con dei soldi che in realtà spesso non ha, cerca di impressionare delle persone che magari neppure trova simpatiche. La crescita a cui ambiscono tutti i paesi industrializzati non produce uomini felici in modo duraturo. Eliminazione della disoccupazione e la pace sociale sono più importanti della crescita del PIL. “Per quanto egoista si possa ritenere l’uomo, sono chiaramente presenti nella sua natura alcuni principi che lo rendono partecipe delle fortune altrui, e che rendono per lui necessaria l’altrui felicità nonostante da essa egli non ottenga altro che il piacere di contemplarla”. Si tratta dell’Incipit della “Teoria dei sentimenti morali” di Adam Smith, altrimenti noto come il teorico della “mano invisibile” del mercato. Si tratta di capire se anche nella natura dell’uomo di oggi vi è ancora spazio per il desiderio della felicità altrui.

Avv. Matteo Quadranti, granconsigliere

Claudio Magris, Contro la sofferenza, L’utilità sociale della felicità, Corriere della Sera 8 maggio 2011

Gustavo Zagrebelsky, Ezio Mauro, La felicità della democrazia, Laterza, 2011

Richard David Precht, Ma io, chi sono?, pag. 353 e segg., Garzanti, 2009.

Umberto Galimberti, I miti del nostro tempo, pag. 64 e segg., Feltrinelli, 2010

www.happyplanetindex.org; www.neweconomics.org