Equivoci globalisti

23 settembre 2011 – Opinione Liberale – Rubrica Ballate Maltesi

Mercati efficienti di Stato

Globalizzazione è diventato un termine retorico e generico. I discorsi sul globale sono diventati un’ideologia del “senso comune”. Anche di crisi dello Stato moderno se ne parla da almeno un secolo. Eppure la tesi del tramonto del ruolo dello Stato è quotidianamente smentita da fatti macroscopici. Paradossalmente viviamo l’età dell’Iper-Stato. Tutta la scena politica degli ultimi 10 anni è stata segnata dalla ricerca disperata degli Stati di tamponare al disordine globale. I sostenitori del neoliberismo e della deregulation riscoprono oggi il ruolo del potere pubblico, magari in chiave protezionistica. Di fronte alla crisi economico-finanziaria iniziata nel 2008, abbiamo assistito al ritorno in grande stile della domanda di “pubblico” (e delle sue risorse). Si veda un esempio tra tutti, l’intervento dello Stato per salvare UBS (“troppo grande per fallire”), per assumersi i costi sociali dei vari licenziamenti derivanti dalla crisi,… Il mercati deregolati che avrebbero dovuto funzionare “spontaneamente” si sono aggrappati disperati agli Stati e alla politica. Siamo di fronte all’esigenza non più rimandabile di ritrovare degli equilibri tra poteri pubblici e quelli finanziari. Non è scoppiata solo una bolla finanziaria con ripercussioni sull’economia reale e i debiti sovrani, ma pure un bolla ideologica. Ossia quella dell’ostilità verso la politica in quanto tale, del minimalismo istituzionale, della metafisica dell’autosufficienza del mercato e delle regole fatte dai regolati. Tutto ciò si è rivelato essere un’illusione pericolosa, propagandata con superficialità e cinismo. Il quadro attuale, in un’ottica liberale progressista (rivolta al futuro), deve portarci ad una discussione onesta e informata sul nuovo ruolo degli Stati (libera dalla vecchia dicotomia “più” o “meno” Stato) e dei governi. Superata la fase del fondamentalismo alla Greenspan; assodato che non esiste una “mano invisibile” che faccia da autocoordinamento dei mercati finanziari o da protezione di altri beni veramente pubblici quali l’ambiente, il ruolo dei governi dovrebbe essere quello di dirigere gli sforzi verso la promozione di mercati efficienti ed equi, sia a livello di produzione che di ridistribuzione dei redditi e allocazione delle risorse; di regolare efficacemente i poteri economici e riequilibrare i vari “poteri forti”. In un mondo descritto come sconfinato, aperto ai commerci e alla circolazione dell’informazione, giuridicamente poroso, paradossalmente proliferano “muri” (reali, immaginari e ideologici) con i quali ci si illude, o meglio si illude l’elettore (la “gente”), di arginare materialmente i conflitti culturali e gli squilibri economici. Mentre neoliberisti e movimenti populisti minano le istituzioni e criticano la politica “come tale”, pur facendola a tutti gli effetti, nella realtà vi è un bisogno accresciuto di autorità pubblica, di rassicurazioni e identificazioni politiche, di protezione sociale, di fiducia collettiva. Quindi c’è bisogno di Stato e di più politica (attiva e informata): chi li nega e denigra mira ad un ritorno al passato, non guarda avanti. C’è bisogno di coerenza e sintesi tra i liberisti/globalisti in economia e i nazionalisti protezionisti nel sociale. Se vi è crisi dello Stato semmai è quella del modello di singolo “Stato nazionale europeo”: troppo piccolo per il mondo globale e di fronte alla modernizzazione di veri e propri macro-Stati (Brasile, Cina, India,…). Le battaglie (micro)identitarie, nazionaliste e protezionistiche si devono fare ma restando attivi e proattivi a livello internazionale, con gli Accordi bilaterali e restando presenti nei consessi istituzionali, non certo chiudendosi a riccio, piagnucolando o facendo la voce grossa e basta. Con la globalizzazione siamo di fronte a un fenomeno di “denazionalizzazione” più che di “destatalizzazione”. È evidente che la globalizzazione non funzionerebbe senza la collaborazione degli apparati statali. Vero è che ciò comporta dei problemi, perché lo Stato liberale, integrandosi nell’economia globale e fornendo il suo contributo al funzionamento dei suoi meccanismi, finisce per produrre da sé il proprio deficit democratico, scardinando il proprio legame con la comunità politica (nazionale) e sbilanciandosi troppo sulla dimensione “sradicante” della finanza e del mercato, senza prevedere nuove forme di appartenenza politica e controllo democratico sull’economia. Si deve tornare a riequilibrare il rapporto tra interessi collettivi e mercato globale, istanze di regolazione e dinamiche finanziarie, lotte per i diritti e presunti automatismi dell’economia. Per cambiare il ruolo complesso dello Stato nel XXI secolo, vi sono due rivoluzioni da fare: 1) liberare lo Stato dalla “presa” di talune lobbies; 2) combattere il populismo antimercato e ultranazionalista. Non nascondo un certo pessimismo. Vincere questo pessimismo è la vera sfida del “politico” e della politica di oggi.

Vito Tanzi, Government versus Market, The Changing Economic Role of the State, Cambridge University Press.