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4 settembre 2008 – Opinione Liberale Rubrica Ballate Maltesi
Eutanasia: la buona morte, serena e indolore
Con una certa regolarità ci ritroviamo tutti confrontati con casi di persone che da tempo si trovano in stato neurovegetativo e quindi si ripresenta la questione etico-morale a sapere se l’eutanasia sia giusta e, in caso affermativo, quando e a quali condizioni. Non è pensabile in questa sede sviscerare o anche solo pensare di sintetizzare le diverse visioni ed approcci al tema sotto le diverse discipline (giuridiche, religiose, mediche, filosofiche) ma oso tentare alcune considerazioni o spunti di riflessione, per lo più rubati a più dotti del sottoscritto e senza pretesa di fornire un approccio liberale alla questione, sempre che un tale approccio esista. Si tratta di casi di etica applicata o pratica. L’eutanasia è per lo più definita come un’uccisione dettata dalla pietà. Vi possono esser diversi tipi di eutanasia: 1) quella volontaria (il paziente esprime il suo desiderio di morire, una forma di suicidio assistito), 2) quella involontaria (il paziente non desidera morire ma il suo desiderio è ignorato: in molti casi questa forma è ritenuta equivalente ad un omicidio) ; 3) quella “non volontaria” (il paziente non è cosciente o in condizione di esprimere un desiderio). Mi soffermerò soprattutto sull’eutanasia volontaria per dire che la scelta che ognuno farà sarà in funzione della teoria etica a cui questo si affida: un cristiano agirà in funzione dell’etica cattolica, altri di quella consequenzialista di J. Stuart Mill o quella dell’Imperativo Categorico kantiano o ancora quella utilitaristica. Tuttavia le cose non risultano certo così semplici neppure restando nei limiti di ciascuna teoria. Ad esempio, a quale dei due seguenti comandamenti un cattolico darà la sua preferenza in un caso concreto di Eutanasia: “Non uccidere” o “Ama il prossimo tuo” intendendo che può essere senz’altro un atto d’amore aiutare a morire chi lo desidera.
“Il diritto di vivere è la fonte di tutti i diritti e correttamente inteso, esso include anche il diritto di morire”, affermava il filosofo Hans Jonas il quale, in quanto autore de “Il principio responsabilità”, può essere sicuramente annoverato tra i pensatori liberali. Indro Montanelli scriveva che “il diritto alla morte è un diritto sacrosanto come il diritto alla vita e rivendico come sacro il mio diritto di scegliere il quando e il come. Noi non pretendiamo che lo Stato riconosca i nostri principi, noi ci accontentiamo che non li perseguiti in pratica”. Forse sulla parola “vivere” o “vita” va pure spesa qualche riflessione, come fece James Rachels in un suo libro del 1989 che probabilmente resta tra i migliori sull’argomento (“Quando la vita finisce. La sostenibilità morale dell’eutanasia”), al fine di togliere qualche potenziale ed intrinseca ambiguità. La parola vita può significare due cose ben distinte tra loro: “essere vivi” non è la stessa cosa che “avere un vita da vivere” dotata di significato. Vi sono casi in cui chi è vivo in senso “biologico” non lo è, o non lo è più, in senso “biografico”. Solo se si ha una vita “da vivere”, la vita è in qualche modo “sacra”. “Non uccidere” è una “regola derivante” da un principio ben più fondamentale che ne definisce lo scopo: che è quello di garantire la protezione delle vite individuali. Ma, per proteggere queste, dobbiamo avere un criterio per definire che cosa è vita e che cosa non lo è, salvaguardando in modo coerente chi ritiene di avere “una vita da vivere”. Certo i progressi della scienza medica inducono a ridefinire ciò che è “la morte” (cfr. Gilberto Corbellini, “Così la morte ci aprì il cuore”, in Il sole 24 ore del 3.8.2008, pag. 33) ma ciò non dovrebbe pregiudicare il riconoscimento del diritto di non vivere in condizioni innaturali e senza poter comunicare eventuali sofferenze, in assenza di relazioni personali e coscienti. Semmai dal profilo medico bisognerà investire nella ricerca per comprendere meglio ciò che un paziente neurovegetativo prova.
La tradizione cattolica tende di contro ad attribuire la sacralità della vita a qualunque essere umano, in qualsiasi condizione si trovi. In qualsiasi modo la si pensi, e sulla liceità o meno dell’eutanasia o dell’accanimento terapeutico, al di là di ogni sofisma, tra l’eutanasia attiva (che comporta un intervento esterno per provocare la morte) e quella passiva (il semplice “lasciar morire”), dal punto di vista morale non dovrebbe esservi nessuna differenza: “sono moralmente equivalenti: o sono entrambe accettabili o non lo sono” sosteneva Rachels. Certo già Montanelli, tra altri, si rendeva conto della difficoltà e delicatezza di costruire una norma legale che ammetta esplicitamente il “diritto a morire” e che in qualche modo lo “sacralizzi”.
Nel frattempo, oltre a pensare ad un testamento in merito ai nostri Averi, il testamento biologico, ossia sul nostro Essere, appare quindi importante. Rispetto a casi di eutanasia o accanimento terapeutico, le posizioni possono essere di norma tre: 1) l’eutanasia non è lecita in nessun caso, 2) essa è lecita solo se è voluta dall’interessato, 3) ci sono casi in cui sarebbe lecita, e persino auspicabile, anche senza il consenso dell’interessato. Nei casi più recenti, a partire da quello di Terri Schiavo sino a quello di Eluana Englaro, pare che maggiori consensi li abbia ottenuti la seconda delle tre posizioni di cui sopra benché anche per le altre vi siano ottimi argomenti pro e contro. Pertanto redigendo un testamento biologico per tempo, il potenziale futuro interessato può evitare, o quantomeno ridurre, laceranti dilemmi e diatribe tra i famigliari ed altri addetti. Fondamentalmente si tratta di indicare almeno due cose: se si vuole essere mantenuti nello stato neurovegetativo in cui ci si venisse a trovare oppure no; indicare la persona a cui affidare le decisioni ultime che ci riguardano nel momento in cui non saremo più in grado di esprimere il nostro volere. Infine si tratta di depositare tale documento presso un Ente o agente pubblico affinché non vada smarrito o buttato nel cestino da qualche volenteroso sostenitore delle altre due posizioni. Per maggiori informazioni sul tema il lettore potrà infine visionare il sito www.exit.ch.