TRA BUONE E CATTIVE NOTIZIE

La gente tesse reti. Sono gli individui che si raccontano delle storie, che condividono uno stesso sistema di valori, un concetto di nazione e di visione delle cose. Tutto questo ci aiuta a dare un senso alle nostre vite. Noi Sapiens non ci comportiamo in base a una fredda logica matematica, ma secondo una calda logica sociale. Siamo governati dalle emozioni. E sempre questa gente crede in esse con sincerità e passione ma presto o tardi la rete si disfa e quando la guardiamo retrospettivamente facciamo fatica a capire come qualcuno abbia potuto prenderle sul serio. Cercare di prevenire il futuro vuol dire gettare l’occhio oltre queste narrazioni attuali per non doversi voltare poi indietro e sorprendersi di aver creduto a disvalori, a notizie false, ad una messa in scena che ci ha presi in giro. La storia vera ci dice che le élite sono molto più brave a collaborare di quanto non lo siano le masse. E questo vale per le élite finanziarie globali e gli oligarchi politici di oggi, come per quei 3 milioni di nobili russi che nel 1914 dominavano su 180 milioni di comuni cittadini, che poi è ciò che accadde sotto il comunismo. Sappiamo pure che queste élite non hanno nessun problema di coscienza di fronte alla crescita di diseguaglianze. Se in un contesto micro (ad es. in una azienda) le grandi diseguaglianze tra persone non portano a qualcosa di buono perché a un certo punto la cooperazione cessa, in un contesto macro (globale) le grandi multinazionali ed élite trovano modo di interagire e cooperare solo tra di sé senza entrare in prossimità con le disgrazie che debbono restare altrove, lontane, per non creare turbamento e far temere per il proprio benessere. Sempre più si sente affermare, ed è già buona cosa che si prenda coscienza di questo, che negli ultimi decenni, da una società volta al progresso ed ottimista siamo passati ad una società del rancore e pessimista. Oggi la fanno da padrone tutte le notizie che generano paura e insicurezza. Le élite, ancora una volta loro, ovvero quelle dei Leader & Co., mascherate sotto forma di populismi vari, ci tessono reti di significato nelle quali siamo caduti o tentati di cadere e laddove l’esca in realtà è l’invidia che genera tristezza e rabbia viscerali, ovvero l’opposto della felicità per la propria vita e per quella altrui. Il tutto pur in un contraddittorio attaccamento tanto fanatico quanto identitario alle religioni la cui vera unica buona novella risiede nella regola del “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”. È comprensibile che di fronte ai potenti del pianeta, ai terrorismi, al flusso di migranti economici, politici e climatici temiamo per noi stessi, per il nostro Stato sociale sempre più in difficoltà a garantire assistenza, aiuto ai meno fortunati, nostri e d’altrove. La barca è piena, diciamo. Facile, per taluni politicanti (imprenditori del rancore), costruire narrazioni fatte di brutte notizie o, per i fondamentalismi, storie di malvagità senza senso, alle quali o solo la sovranità popolare (res publica, res populi intesa però in senso illiberale) o solo un leader, falso portavoce non disinteressato del popolo, dovrebbero essere in grado di porre tanto miracoloso quanto falso rimedio.  Se ciò è umanamente comprensibile è altrettanto vero che il confronto continuo del nostro destino con quello altrui o genera invidia verso chi sta meglio (manager) o genera rifiuto per chi sta peggio ed arrischia di trascinarci verso il basso. Ed è questa la grande e non del tutto infondata brutta notizia che teme la classe media sempre più stiracchiata nel singolar tenzone delle diseguaglianze. Le rivoluzioni operaie erano cariche di utopie e di prospettive sul futuro, mentre nell’era degli estremismi e delle disparità a farla da padrone sono le notizie cattive e la tristezza rivolta al sogno di un ritorno ad un passato irripetibile ed eccezionale nel corso della storia sin qui millenaria dell’uomo. Anche la nuova digitalizzazione (robot e intelligenze artificiali) divide i racconti tra ottimisti e pessimisti: pare più facile prendersela con gli stranieri che non con i robot che ci agevolano la quotidianità seppur a dispetto magari dell’intensità delle relazioni umane. In questo flusso di acque tempestose, varrebbe la pena stare un attimo al bordo del fiume a meditare sul come siamo arrivati fin qua, a dividerci tra chi ci somiglia e chi o, e se con ciò siamo diventati persone migliori moralmente. Dovremmo capire se in realtà il mondo di oggi è davvero peggiore di quello di decenni orsono e se, con l’arrivo di forze populiste, queste ci hanno salvato dalle minacce per le quali abbiamo dato loro elettoralmente fiducia o ci hanno venduto fumo.

Le buone notizie sono che le delocalizzazioni di imprese non hanno funzionato ovunque; che si sente parlare sempre più di condivisione e cooperazione, di sostenibilità e capitalismo equo, di responsabilità sociale,  di voglia di “comunità” per non sentirsi soli; che il nostro sistema formativo ci è invidiato ed è un vantaggio competitivo mondiale, a condizione che tutti possano stare al passo per affrontare l’evoluzione dei mestieri; che il nostro settore innovativo e della ricerca sono ai primi posti; che i millenials sono tra le generazioni più ampie della storia dell’uomo e puntano sulle energie rispettose dell’ambiente; che la scienza potrebbe lavorare sull’ormone dell’ossitocina che ci rende più fiduciosi, collaborativi e generosi. Infine, la buona notizia è che siamo saturi di negatività e c’è voglia di buone notizie che ci spronino ad essere persone migliori.

Matteo Quadranti, Gran consigliere

Febbraio 2018