Ticino contro resto del mondo

20 agosto 2014 – La Regione Ticino

A volte si perde l’orientamento o si pensa di essere al centro del mondo. Quindi pare utile disporre sempre di una vecchia bussola e di un vecchio atlante, foss’anche per andare a rivedere come era il mondo e quali erano i confini in passato. Le frontiere si spostano, i confini sono mobili, un paese che era colorato di rosso può diventare bianco. La geopolitica ci fa sapere che una volta il centro era l’Europa, poi gli USA e ora è in atto uno spostamento verso i famosi paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), che alla faccia del FMI e della Banca Mondiale, si sono fatti la loro New Development Bank (NDB) dotata di 50 miliardi di dollari. Il mondo è avviato verso conflitti di egemonia economica e di potere. La globalizzazione americana si è fermata. Fred Bergstein, stratega politico e economico tra i più influenti, rileva che UE e USA oggi sono in minoranza mentre vi è l’ascesa degli altri, ovvero il resto del mondo, tra cui i Paesi BRICS ma non solo. Gli accordi di Bretton Woods che hanno retto più o meno l’economia del dopoguerra sono messi in discussione e i commerci internazionali tendono a prendere la strada di accordi bilaterali o regionali. Ad esempio gli USA hanno lanciato negoziati per accordi di libero scambio: uno transatlantico e uno transpacifico che escludono Cina, Russia e India. Paesi questi che tuttavia non stanno affatto a dormire. La Cina sta investendo enormemente in Africa e in Sudamerica dove peraltro esporta – e trova ammiratori – il proprio modello da un lato autoritario ma, almeno nel breve periodo, efficiente ed efficace, sostenendo investimenti infrastrutturali notevoli. Va pure detto che l’America latina si sta dando da fare per creare le proprie Silicon Valley. Si pensi alla Chilecon Valley, come l’ha definita l’”Economist”, che ha proiettato, grazie ad un programma governativo, il Cile nel panorama tecnologico mondiale. Ma città intelligenti si stanno sviluppando in Messico (Guadalajara, con 70 imprese leader dell’alta tecnologia e 3000 operatori qualificati); Colombia (Medellín, sede di decine di aziende tecnologiche straniere), Brasile (Campinas, con i suoi parchi tecnologici Ciatec I, II e III e università prestigiose), Argentina (Cordoba), Costa Rica (Valle Central), Guatemala (Campus Tec). L’interesse di Obama per l’Africa non è mero umanitarismo. Molto si muove in questo continente a livello industriale e tecnologico (sono 90 i “tech hub” censiti): in Nigeria (Lagos, distretto di Yaba), Kenya (Nairobi con la Ghoza City); Sudafrica (Johannesburg e il suo polo tecnologico Braamfontein), il piccolo e martoriato Ruanda sta posando fibre ottiche ambendo a diventare la Singapore africana, il Congo con le sue dighe, il Ghana con la Hope City da 10 miliardi di dollari. Sempre la Cina mira ad estendere la propria egemonia anche in Asia (Vietnam, Malesia, Indonesia, filippine, Singapore). La Russia di Putin – con le sua ambizioni “imperialiste” post sovietiche – non se ne sta indietro come possiamo leggere dall’attualità. Ed è un modello certo non democratico e autoritario che si espande. “Dieci anni fa una persona su cinque in Eurasia viveva sotto un potere autoritario. Oggi sono quasi quattro su cinque”, riferisce un rapporto recente della Freedom House, un’organizzazione che studia l’andamento della democrazia nel mondo. Il subcontinente indiano non appare bramoso di egemonie ma dà molta importanza alle politiche commerciali coi vicini (Bhutan, Nepal, Sri Lanka, Pakistan e Bangladesh). Vi è poi il Medio Oriente – una regione violenta, disperata, stagnante economicamente e negatrice di diritti democratici – suddiviso tra l’Iran sciita con ambizioni regionalistiche su Siria e Palestina e un Islam sunnita radicale interessato ad Iraq e Libia. Il vecchio Occidente (UE e USA) – fondato sulla democrazia e il libro mercato – pur in minoranza, può ancora giocare il proprio ruolo a patto di non crogiolarsi nell’illusione di essere per diritto acquisito il centro del mondo. Ciò vale ancora di più per la Svizzera. In tutto questo ambaradan, in Ticino – con le sue lotte intestine tra regioni e partiti – pare che i problemi siano sempre quelli da 30 anni a questa parte. Speriamo che il futuro riservi una svolta, visioni un po’ più ampie, poiché i muri non resistono alle svolte della storia.

Matteo Quadranti, deputato PLR