Solitudini comunicative

22 luglio 2011 – Opinione Liberale, rubrica Ballate Maltesi

Quanto ci costano?

D’estate forse siamo più inclini ad affrontare con leggerezza maggiore la vita. Ma forse è in questo periodo di leggera riduzione della frenesia che potremmo trovare il tempo per qualche riflessione scomoda su di noi. E allora, se vi va, parliamo di solitudini. Uno dei mali maggiori del nostro tempo. Cosa ci comunicano queste solitudini? Ma perché parlarne su un giornale di partito come il nostro? Forse perché sostenere l’iniziativa e la responsabilità individuali non può significare che la nostra società è fatta di singole individualità. L’uomo è un animale, per sua natura, sociale. Oppure perché vogliamo una società tanto giusta e democratica da non escludere nessuno dalla possibilità di partecipare alle decisioni collettive ma anche da garantire a tutti la possibilità di elaborare, in piena libertà, un proprio progetto di vita. E quale sano progetto di vita può sviluppare una persona che soffre di solitudine, che si emargina o viene emarginata? E ancora, quali e quanti costi (sociali, economici, finanziari e umani, per lo Stato e per i singoli) generano le varie forme di solitudine di questa società globale e della, apparente, iper-comunicazione e degli “happy hours”? Qualche statistica ufficiale li ha mai calcolati analiticamente? E infine, ci rimane solo l’amicizia per il tempo libero (delle vacanze e dell’aperitivo), o possiamo contare ancora su amicizie legate all’impegno nelle durezze della vita? Hume definiva la solitudine involontaria come il peggior supplizio per un essere umano: “ la condanna delle persone alla sorte della solitudine involontaria è il semplice promemoria del male sociale. O, più precisamente, della natura propriamente sociale del male che persone possono infliggere ad altre persone”. Molti pensano e danno da pensare che questa cagna che morde il cuore di tutti, oggi, la si vinca con la comunicazione. Mentre invece no, è l’amicizia che vince la solitudine. La vicinanza di qualcuno che ascolti e condivida i nostri sentimenti, che si interessi a noi. E noi liberaliradicali vogliamo interessarci dei nostri prossimi. Lo spero. Senza amicizia un uomo muore dentro, e anche una società muore dentro. La propaganda ci vuole come singoli autodeterminati che comunicano un sacco. Basta essere connessi al mondo e non si è più soli. Siamo invasi da strumenti per essere connessi. Ma poi? La persona a cui chiediamo l’amicizia su facebook, amica lo è sempre e davvero? I commenti scaricati sui blog ci consentono davvero uno scambio di opinioni costruttivo, ci possono far cambiare idea oppure ognuno si sfoga e non pensa nemmeno di cambiare idea visto che in realtà non vi è vera e propria interazione e discussione fondata anche sull’empatia di un incontro, di un dialogo faccia a faccia? La democrazia ne trae giovamento oppure tutto questo ci porta a forme di autoreferenzialità spesso disinformata e fatta di pregiudizi? I fenomeni di “branco” di alcuni giovani, il crescente numero di cosiddetti “raptus”, “gesti sconsiderati”, non nascondono ombre di grandi solitudini? Ripensando alla mia infanzia ricordo con piacere gli insegnamenti, anche commoventi, sull’amicizia di un libro quale I ragazzi della via Pal. Ma sembra che l’amicizia sia oggi un tema disagevole. Molto meglio degli edulcorati quali certe trasmissioni TV con scuderie di successo. Siamo quasi più “amici” di personaggi da Grande Fratello che del vicino di casa. Viviamo un’affollata solitudine. I dati più recenti indicano che il numero di persone che accettano una vita in cui sono fisicamente, e forse emotivamente, isolate dagli altri è in crescita. In uno studio del 2004, la percentuale di chi non aveva nessuno con cui discutere questioni importanti era triplicato per rapporto al 1985. Negli ultimi 20 anni, negli USA, ma anche da noi, la dimensione media delle famiglie è diminuita ca. del 10 % arrivando a 2.5 persone. Già nel 1990, tra le famiglie con figli minorenni più di una su cinque comprendeva un solo genitore. Attualmente sono una su tre. Tra le persone completamente sole vi sono gli ultrasessantacinquenni con un aumento di ca. il 30% per rapporto a dati degli anni ’80. Poiché la struttura delle carriere, delle abitazioni e della mortalità e le politiche sociali sono guidate dal capitalismo globale, gran parte del mondo sembra determinata ad adottare uno stile di vita che aggraverà e rafforzerà la sensazione cronica di isolamento che milioni di persone provano già, anche quando circondate da familiari e amici ben intenzionati. La contraddizione è che abbiamo modificato radicalmente l’ambiente, ma la nostra fisiologia è rimasta invariata. Un malessere che sembra invincibile, quello della solitudine, contro il quale tanti cercano di combattere con illusori e pericolosi anestetici come psicofarmaci, alcool, sesso, gioco, o raccontando a un analista le loro pene psicologiche. Il consumo diffusi di stupefacenti del resto è divenuto uno status symbol e dimostra la resa, la rinuncia di affrontare la vita con le sue difficoltà, sorretti da vere amicizie. Quanto denaro, quante energie sprecate! Quanto elevata la perdita di miglioramento della qualità della vita, delle vite ogni individuo. Il mercato vende prodotti palliativi di consumo e, talvolta, di abuso. La politica dovrebbe vendere soluzioni ai problemi. Per dare ad ognuno la speranza di una vita naturale, ovvero dove il singolo torni ad essere gratificato dalla sua natura di animale sociale.

Matteo Quadranti