Contattami:
Mirko Nesurini, esperto in comunicazione, è tornato qualche giorno fa su queste colonne a scrivere di marchio “etico”. Con lui scrivevo a quattro mani, un contributo sull’argomento. Quell’articolo di sei mesi fa era stato scritto in margine al dibattito sulle mozioni di Henrik Bang (PS) e di Marco Chiesa (UDC) che volevano che lo Stato creasse il Marchio “Azienda Locale” e/o un Marchio “etico”, lo gestisse e lo controllasse, affinché il cittadino consumatore potesse individuare e si presuppone prediligere (ritenendolo verosimilmente incapace di scegliere da sé), le aziende “virtuose” attente al “nostro” mercato, ai “nostri” lavoratori indigeni. Scrivemmo che l’idea era una ciofeca elettoralistica e che dopo le lezioni cantonali di aprile 2015 non ne avremmo più sentito parlare. Ci sbagliammo! Infatti non pensammo che la trovata del Marchio etico poteva facilmente essere riciclata anche per le elezioni federali. Infatti così è stato con la presentazione a metà settembre di una nuova Mozione “Marchio etico, secondo atto” a firma dei medesimi e stavolta anche di Daniele Caverzasio che a marzo fu relatore del Rapporto di maggioranza che invece le bocciava. Gli ultimi due sono ora in lista per le federali di metà ottobre. La messa in scena del secondo atto è palesemente pretestuosa e mi permetto intervenire poiché in questa seconda mozione si afferma che tutto il parlamento “non ha mai mostrato dubbi sull’opportunità di creare questo segnale e di concretizzare la proposta”. Ebbene, il sottoscritto, che siede in parlamento dal 2011, dichiarò che non avrebbe votato né il rapporto di maggioranza (contrario alle mozioni), né quello di minoranza (a favore delle mozioni) indicando (cfr Verbale seduta 25.03.2015, pag. 5063) che i marchi debbono essere utilizzati per scopi distinti dal lanciare segnali politici e men che meno per distinguere buoni e cattivi. La maggioranza del parlamento – seguendo il Governo – solo 6 mesi orsono respinse le proposte ma “delegò” alle Associazioni economiche di occuparsene. Caverzasio, con la maggioranza, riteneva che le finanze del Cantone non consentivano nuovi compiti e oneri. Mi chiedo se nel frattempo, contrariamente a tutte le notizie e ai dati ufficiali sulle finanze dello Stato, il collega Caverzasio abbia informazioni relative a tesoretti nascosti visto il cambiamento d’idea. Ma quand’anche le Associazioni avessero avuto l’intenzione di concretizzare l’atteso Marchio, mi chiedo se i mozionanti davvero pensano che in meno di 6 mesi, con in mezzo le ferie estive, il tutto sarebbe stato oggettivamente e seriemente fattibile? Evidentemente no! Le cose serie non si improvvisano. È per lanciare segnali che ci vuol poco, soprattutto non necessita di verificare se le proposte legalmente stanno in piedi o piuttosto contrastano con varie normative. Ora, con il “secondo atto” si vuol dare un segnale (di fumo?) al Cantone nel senso che “o il marchio nasce dal privato o dovrà farlo lo Stato”. Infine, se invece che “marchiare” le aziende come se fossero entità astratte, la proposta fosse quella di “marchiare” tutti i cittadini residenti che fanno acquisti e consumano solo in Ticino, vi trascorrono le vacanze, non chiamano i padroncini, siamo certi che siano la maggioranza concorde? E soprattutto, quale destino sarebbe riservato a chi non fosse così “virtuoso”? Che tipo di marchio gli verrebbe assegnato? Sarebbe da denunciare? Siamo arrivati alla delazione del vicino di casa? Invece di affrontare le sfide della libertà, quella delle persone e delle merci, siamo certi di avere un futuro migliore chiudendoci in noi stessi per evitare le delazioni? Non mi riconoscerei fiero cittadino di un tale Paese!
Matteo Quadranti, deputato PLR