Scienza e Politica

21 giugno 2007 – Opinione Liberale e Corriere del Ticino

Dogmi no grazie

“Il mondo non ha bisogno di dogmi ma di libera ricerca”, così scriveva Bertrand Russell. La citazione vale per la scienza come per la politica. La libertà e il senso critico sono gli unici antidoti al dogmatismo impregnato di presunzione nella detenzione della certezza. Come ci ha insegnato Karl Popper – tra altri pensatori liberali – la certezza non esiste e la certezza non può essere lo scopo della scienza. La verità sì, la certezza no. C’è una grande differenza tra il concetto di verità e quello di verità certa, cioè dimostrata. Già i filosofi pre-socratici erano convinti che l’uomo non può raggiungere la certezza. Anche grandi scienziati come Newton e Einstein sapevano quanto poco certa fosse la scienza. Popper criticò il modo di fondare la propria conoscenza scientifica soltanto sulle proprie osservazioni capovolgendo la teoria secondo cui tutto ciò che esiste é dovuto alle nostre percezioni per modo che, in sostanza, noi immaginiamo il mondo. Per Popper invece le nostre percezioni sono mere ipotesi così come lo sono pure le teorie. Pertanto ciò che vediamo è dunque impregnato delle nostre aspettative, delle nostre ipotesi e delle nostre teorie. In breve, vediamo ciò che desideriamo vedere. Alla domanda a sapere quando un’ipotesi poteva essere considerata scientificamente dimostrata, Popper rispondeva: “Mai! Ciò che possiamo fare al massimo è sforzarci di trovare ipotesi opposte e poi di costruire esperimenti che sostengono di più la validità di un’ipotesi rispetto ad un’altra, o di una contro l’altra, e così via” in modo da avvicinarci alla verità ma non alla certezza. La realtà, infatti, non è qualcosa di definitivo, bensì è mutevole. L’uomo riesce ad intravedere i segreti solo accettando di non detenere certezze ma lavorando sempre sulla base di ipotesi correggibili. Per Popper l’uomo è vivo e libero solo se accetta questa condizione: altrimenti vive nel pregiudizio, inseguendo miraggi (dogmi), credendosi onnipotente. L’uomo è dunque libero se accetta con modestia il suo limite che è però anche la condizione per mantenere vive la curiosità e la capacità di stupirsi. Il liberalismo ci ha insegnato che nessuno ha il monopolio della verità ma che è solo con la capacità di ascolto delle “ipotesi” altrui e con la tolleranza dettata dall’umiltà del metodo critico che ci si può avvicinare alle soluzioni migliori, al miglior compromesso politico, per la nostra società, per la nostra vita democratica. Voltaire, consapevole dell’importanza del confronto delle diverse “ipotesi” partitiche, diceva: “non condivido le tue idee, ma mi batterò fino alla morte perché tu possa esprimerle”. Parlo volutamente di ipotesi di partito perché, come più volte scritto, i partiti servono a convogliare e mediare i diversi interessi e focalizzare le risorse su certi progetti. L’alternativa sarebbe la delega di tale compito ad un solo uomo forte o ad una oligarchia (lobbies, tecnocrati,…), salvo voler cadere nell’anarchia laddove ognuno faccia valere i propri e svariati interessi – spesso contrastanti tra loro – senza che possa essere data una direzione alla vita comunitaria. Appare evidente che, con tutti i difetti che può avere, il sistema democratico “occidentale”, fondato sull’esistenza dei partiti, ci consente, come sosteneva Popper, di vivere “nella migliore società storicamente esistita”: ciò che evidentemente non esclude la continua ricerca di perfettibilità, anzi! Sì, perché la nostra democrazia ha comunque problemi anche quando avrebbe gli strumenti per funzionare bene. In una democrazia sana, infatti, non si dovrebbero avere grandi discussioni in parlamento. Pertanto l’opposizione, costretta a giocare soltanto un ruolo critico, tenderà ad ingigantire tutto ciò che non funziona nella società. Ciò avverrà tanto più quando un opposizione ha delle idee troppo dogmatiche che, mancando appunto di fantasia, non è in grado di formulare vere proposte di cambiamento. Inveendo contro tutto, l’opposizione non rende comunque servizio alla vita democratica perché il cittadino vedendo tale aggressività tenderà sempre più a disinteressarsi dei veri problemi e progetti da discutere in parlamento. Il rischio è quello di cadere quindi in un sistema viziato e vizioso dove l’importante per il politico sarà apparire, far sentire la propria voce indipendentemente dai contenuti pur di trovare breccia nella memoria visiva, ma spesso distratta, della cittadinanza: disaffezionatasi frattanto alla politica costruttiva e stanca della politica spettacolo. Quella stessa cittadinanza che però arrischia fortemente di lasciarsi trascinare nelle facili visioni populiste e/dogmatiche di rapida “digestione” quanto illiberali e quindi non degne di uomini che si vogliono davvero liberi di ricercare il proprio miglior destino in comune.