Quanto tempo per la nostra intelligenza

settembre 2013 – Progresso Sociale

La storia dell’uomo, del suo cervello e dell’uso che fa della propria intelligenza è lunga, affascinante e ancora misteriosa. Lo sviluppo delle neuroscienze ci apre nuove speranze di comprendere come funzioniamo, come ci raffiguriamo il mondo e se a comandare sia la scienza, la mente o il libero arbitrio. In realtà, per darci delle risposte, dobbiamo indagare come siamo arrivati fin qua. La nostra mente è un prodotto derivato, il derivato di una caotica e contaminata storia evolutiva. Siamo infatti figli di asteroidi, glaciazioni, formazione della fossa tettonica e d’altri eventi accidentali che ci hanno portati ad essere raccoglitori-cacciatori, monogami e confusamente razionali. I dati “accertati” sinora sono che il Big Bang risale a 13.7 miliardi di anni fa, la Terra è vecchia di 4,6 miliardi d’anni, la vita sul nostro pianeta è apparsa ca. 3,8 miliardi di anni orsono. Circa 130 milioni di anni fa si diffondono le piante da fiore e con esse tutta una serie di forme viventi da sottobosco. Se è vero che vi sono stati ritrovamenti fossili di ominidi risalenti a 30 milioni di anni orsono e anche vero che di queste prime forme di scimmie non si sa quasi nulla. Solo dopo l’apertura della Crepa di Gregory nella Rift Valley africana e il sollevamento dell’istmo di Panama si crearono le premesse ambientali per la nascita di nuove forme di primati, e quindi dell’uomo. Senza questi eventi, forse la specie umana non sarebbe mai comparsa. È grazie allo scheletro di una donna africana (comunemente nota col nome di Lucy), morta a 20 anni e nata circa 3,18 milioni di anni fa, che sappiamo datare la nostra origine di ominidi eretti e cacciatori. Certo l’andatura bipede fu un vantaggio evolutivo poiché liberava l’uso delle mani da meri compiti motori ma comportò pure mal di schiena e restringimento del canale del parto. Ovvero cuccioli con cervello piccolo. Grazie all’ infanzia e adolescenza il nostro piccolo cervello è stato ed è capace però di imparare tanto. Il meccanismo che sta alla base della scoperta dell’incredibile evoluzione del cervello umano per rapporto a quello di altre scimmie antropomorfe non sta in realtà nel solo adattamento all’ambiente. Negli anni Venti del secolo scorso, due studiosi (Emile Devaux e Louis Bolk), per vie separate, giunsero alla conclusione che al momento della sua nascita l’uomo non è completamente sviluppato, mentre le scimmie antropomorfe, quando vengono al mondo, sono abbastanza vicine alla loro forma definitiva. L’uomo rimane molto più a lungo nello stadio fetale e quindi nella fase in cui è predisposto ad apprendere. Dopo la nascita, la neuroscienza ha dimostrato che il cervello dell’uomo si espande per parecchio tempo con la stessa velocità con cui procedeva nel grembo materno mentre negli altri mammiferi esso cresce più lentamente delle altre parti del corpo. In questo la nostra storia evolutiva è più simile a quella dei delfini che a quella delle scimmie. Se ciò è stato dimostrato scientificamente, resta ancora un mistero sapere perché, a un certo punto della storia (ca. 3 milioni di anni fa), all’uomo venne fornita “gratuitamente” una corteccia cerebrale prefrontale particolarmente estesa.

Forse i cuccioli d’uomo necessitando di protezione fino all’adolescenza proprio per questo sviluppo cerebrale, si impose la coppia monogama (una deformazione per rapporto ad altre specie). Per circa un milione e 200 mila anni il genere Homo è stato cacciatore-raccoglitore – la nostra mente si è sviluppata in gran parte allora, in funzione di un ambiente completamente diverso da quello attuale. Apparentemente incomprensibile è anche il fatto che a quanto pare si dovettero attendere ancora migliaia di anni prima che gli ominidi, con il loro cervello ad alta prestazione, sapessero metterlo a frutto pienamente. Un passo ulteriore avvenne ca. 10 mila anni fa quando siamo diventati agricoltori. Come mai ci fu tanto ritardo nel mettere a frutto le nuove potenzialità cerebrali? La risposta pare stare semplicemente nel fatto che il cervello dedica quasi tutte le sue energie a compiti che non sono legati al progresso tecnico. Anche le attuali scimmie sono più intelligenti di quanto serva loro per maneggiare pietre e rami, ma la parte di gran lunga più consistente della loro intelligenza è investita nella complicata vita sociale, e anche nel caso degli uomini, avere a che fare coi propri simili rappresenta la sfida più grande della vita quotidiana. Qualsiasi studioso che avesse osservato Einstein col binocolo mentre si vestiva, mangiava e così via non avrebbe notato granché circa le sue potenzialità intellettive e i suoi lampi di genio poiché nella maggior parte delle attività quotidiane il nostro cervello viaggia a livello base. Insomma, l’intelligenza è ciò che si usa quando non si sa più che fare, o meglio quando non si hanno più compiti basilari quotidiani e di convivenza sociale da svolgere.

In questi millenni ci siamo battuti contro l’imponderabile e per cercare dei rimedi abbiamo dato la priorità al cosiddetto sistema uno (una modalità di ragionamento che ha avuto origine nel Paleolitico, fondata sulla velocità, sul basso consumo di glucosio e sulla capacità di arrivare velocemente, tramite associazioni, alla conclusione). Invece il sistema due (quello lento, analitico, ad alto consumo di glucosio), utile per ottenere misure più precise e quindi rimedi migliori, è entrato in funzione con difficoltà, e nonostante l’illuminismo e la nascita del metodo (ragione-dimostrazione), siamo ancora qui a barcamenarci e a chiederci se l’universo ha un senso e se questo è quello di creare degli esseri senzienti. Molte religioni tentano di fornire spiegazioni che tuttavia si fondano su atti di fede. Nell’epoca romantica, una certa filosofia aveva attribuito al corso della natura un senso come se tutto culminasse nell’uomo. In realtà non c`è nulla che faccia pensare che l’uomo e il suo agire siano la meta dell’evoluzione. La verità è che l’universo è inefficace nel produrre umani. Noi veniamo fuori dopo che il 99,99% della storia cosmica si è già svolta e per di più dobbiamo ringraziare catastrofi e asteroidi: se i dinosauri non si fossero estinti forse noi non saremmo qui. Quindi appare legittimo chiederci ogni tanto: chi siamo noi che per una ottantina d’anni passeggiamo su questa terra? Qual è il senso della nostra esistenza? Come possiamo comportarci sapendo che grazie all’emisfero destro elenchiamo le cose che vediamo poi, con l’emisfero sinistro, le interpretiamo e spesso le interpretazioni dell’emisfero sinistro non concordano con quelle dell’emisfero destro?

Spesso confusamente razionali già di nostro, stra-occupati nelle attività quotidiane sempre più frenetiche, impegnati ad assorbire superficialmente valanghe d’informazioni, chiediamoci quando troviamo il tempo per mettere a frutto la nostra intelligenza, la parte più performante del nostro cervello?

Sarebbe già un bel progresso sociale poter trovare ogni tanto il tempo per non aver altro da fare che pensare e magari farci venire qualche lampo di genio.

Avv. Matteo Quadranti, granconsigliere PLR

Letture consigliate:

Michael Gazzaniga, Chi comanda? Scienza, mente e libero arbitrio, Codice edizioni

Richard D. Precht, Ma io chi sono? (ed eventualmente, quanti sono?), Garzanti edizioni