Potenza del falso e virtù del dissenso

“Abbiamo una responsabilità, finché viviamo: dobbiamo rispondere di quanto scriviamo, o diciamo, parola per parola, e far sì che ogni parola vada a segno”, scriveva Primo Levi. Nemmeno, a monte, è possibile pensare con chiarezza se non siamo capaci di parlare e scrivere con chiarezza. Le società vengono costruite e si reggono su una premessa linguistica, secondo la quale formulare un’affermazione, lanciare una proposta, comporta un impegno di verità e di correttezza, nel caso del politico, nei confronti dei cittadini. Le società costruite sulle asserzioni vuote (di senso) o false (materialmente) sono di regola in cattiva salute e prima o poi decadono con soprese poco gradite. Lo abbiamo visto a più riprese in regimi dittatoriali in cui si prometteva di tutto e di più a scapito di un nemico costruito apposta. Lo viviamo oggi anche in regimi democratici fondati sul populismo, sul consumo di massa e su di una visione preconfezionata, inculcata e apparentemente immutabile del progresso come sola crescita economica. I parlamentari hanno a che fare con le parole, dette o scritte. Anch’essi avrebbero il dovere di usarle responsabilmente, per dire la verità. Ma così non è, e il fatto che non lo sia in tante altre realtà politiche nazionali e internazionali non può essere né consolatorio né giustifica un’apatia politica, anzi! Il linguaggio ipnotico che seduce le folle, tra le armi attuali di una certa politica, è proprio ciò a cui sempre più intellettuali stanno invitando non tanto i politici (opportunisticamente anti-intellettualisti) ma i semplici cittadini a ribellarsi. Ribellarsi ai discorsi approssimativi, a proposte tanto generiche da essere seducenti ma poco concretizzabili, per tornare in qualche modo al metodo scientifico umanistico che si compone di: 1) comprensione del problema, 2) distanziamento da condizionamenti, passioni e paure del momento, 3) raccolta delle fonti e dei dati di realtà, e non di percezione, 4) sforzo di comparazione, 5) confutazione delle ipotesi avverse, 6) ricerca e produzione di prove, 7) confezionamento della soluzione. Questo è l’unico atteggiamento onesto e utile. Per essere liberi è necessario accertare come stanno le cose davvero, e accertare non significa accettare. Il metodo liberale – che deve restare fedele a sé stesso per andare contro gli abbagli, smascherare le post-verità e le false notizie – non deve piegarsi agli stili propagandistici tanto di moda. Resistere alla conformità e al conformismo prodotto dalla società industrializzata, dal marketing pubblicitario, mediatico e politico, anche mediante una sana trasgressione dovrebbe essere il punto su cui marcare l’azione politica del prossimo futuro. Nessuno ha mai vinto un Nobel facendo semplicemente quello che gli dicevano di fare. Per superare i limiti entro i quali l’uomo spesso ha ristretto i suoi campi di azione per ignoranza, pigrizia o timore, bisogna talvolta disubbidire, non essere massa. Pure il cittadino deve liberarsi da certe idee precostituite da terzi per tornare ad addentrarsi in una sana disubbidienza responsabile a favore della società. Se il futuro non ci è dato è perché ce lo dobbiamo scrivere noi.

 

Matteo Quadranti, granconsigliere