Politiche famigliari: perché lo Stato è necessario?

Marzo 2011 – Progresso Sociale

… per rispondere alle nostre esigenze di oggi. E domani?

Alcune provocazione in materia di politiche famigliari possono servire per guardare sin da oggi al futuro, anche se magari lontano. Il dato di fatto odierno è che le politiche famigliari messe in campo dallo Stato, lo sono per rispondere ad una esigenza attuale della popolazione, non certo dello stato medesimo. In particolare si tratta di servizi para e extra scolastici necessari a consentire alle famiglie, in questa società odierna, di conciliare lavoro, o formazione, e compiti genitoriali. Ma le politiche familiari investono anche il settore degli anziani (Case per anziani, Servizi e cure a domicilio). Quando si parla di famiglia, quasi sempre lo sin fa in termini di “denaro” (deduzioni per figli, bonus per i nuovi nati, sostegno alle famiglie in difficoltà tramite assegni,…), ma mai in termini di “tempo”. Come se il mondo ”della vita”, quello emotivo, affettivo e relazionale, sempre sacrificato nel mondo “del lavoro”, possa essere compensato dal denaro. Oggi la tendenza delle politiche della famiglia non è quasi più quella di indurre a “prendersi cura” bensì è quella di “pro-curare” qualcosa a qualcuno. Il che è ben altra cosa. Ma certo nulla possiamo mutare a breve in quanto, bombardati da decenni di modello di sviluppo senza limiti, siamo stati indotti alla commercializzazione persino della nostra vita intima. Il desiderio d’indipendenza, d’individualismo, ci ha portato a ritenere che, potendo pagare, uno può realizzare se stesso affidando al mercato la cura della famiglia. Ma la domanda o provocazione radicale, un po’ rivoluzionaria, è: quante parti della nostra vita intima, familiare ed emotiva vengono vissute da altri? E quanto ci costano queste politiche? Quanto siamo disposti a pagare pur di non rinunciarvi? Quanto abbiamo quindi bisogno dallo Stato per ricevere questa indipendenza? E qui il pensiero corre alla “cura” dei bambini, affidati a nidi, asili o baby sitter per il tempo in cui siamo altrove, agli adolescenti affidati alla scuola di cui i più s’interessano solo in ordine ai risultati, ai genitori che non si occupano dei problemi di crescita dei loro figli perché per questo ci sono docenti e psicologi, alle coppie genitoriali dove l’assenza di comunicazione e il disinteresse vengono sostituiti con regali all’occorrenza o vacanze esotiche acquistate last minute, ai nostri vecchi affidati a case anziani, servizi a domicilio o badanti, alla pulizia della casa affidata alle collaboratrici domestiche, alla preparazione del cibo data alle rosticcerie (fast food/take away), alle feste dei bambini gestite da agenzie, alle cene con gli amici o alle nozze al catering, alla nostra solitudine supplita dalle “accompagnatrici”, alle nostre emozioni o sollecitazioni sessuali richieste a chi, a pagamento, è disposto a offrircele, alle agenzie che ci trovano l’anima gemella, al gioco d’azzardo per uscire da uno stato di necessità, solitudine e per il bisogno di emozioni “forti” in assenza di quelle “normali”. In buona sostanza, tutto ciò che il mercato ci toglie con l’allungamento degli orari di lavoro o con la necessità di lavoro di entrambi i genitori, esso è pronto a offrircelo in vendita sotto forma di servizi a pagamento. Insomma oggi noi adulti “non abbiamo tempo”. Quando il mercato non sa produrre la merce, allora vende l’ideologia del “tempo qualità” per cui non è necessario che, in occasione del compleanno del figlio, i genitori si occupino dei preparativi della festa e della torta, è sufficiente affidare il tutto a terzi, pur pagando, ma potendosi “godere” la festa insieme a figlio e amici; non è necessario andare a trovare i genitori in casa anziani il sabato o la domenica perché tanto c’è il personale addetto e quindi si può andare al centro commerciale per acquistare altre merci (per supplire alle nostre angosce). Ma abbiamo davvero bisogno di tutto ciò che siamo indotti a comprare? Ma purtroppo il tempo non è “qualità”. Esso è soprattutto “quantità”, necessaria per fare le cose assieme, per seguire i processi di crescita, per scoprire i problemi alla radice, per creare quella base di fiducia per cui i genitori “ci sono” non solo ai compleanni. Quanto costano oggi, e quanto potrebbero costare in futuro, a noi tutti, allo Stato, quei giovani in “autogestione”, con le chiavi di casa? Come si farà, quando adolescenti rientreranno forse alle sei di mattina o forse finiranno in polizia per qualche problema di “sbandamento”? Come faranno i genitori, se non c’erano, perché non ci sono mai stati? Chi dovrà farsene carico? Oggi e in un futuro a breve o medio termine dovremo continuare a porre cerotti alle conseguenze invece di guardare alle vere cause dei problemi e lavorare su queste. Una rivoluzione delle mentalità, infatti, necessita tempo per far sedimentare certe nuove idee. Per esprimere meglio il concetto: se io continuo a sbattere la testa nello stesso mobile, posso continuare a mettere cerotti, ma se sposto il mobile in questione, molto probabilmente eviterò di andare a sbatterci di nuovo e non avrò più bisogno di curarmi le ferite. Ma forse un nuovo trend è già in atto: slow food, città slow, mobilità lenta, tempo libero più che denaro e benefit. I giovani paiono aver intuito che la società futura dovrà essere diversa. Hanno capito che chiedere tempo libero è un modo per recuperare l’umano. Se riusciranno a rivendicare più tempo libero faranno la più significativa rivoluzione, perché riconsegneranno una speranza all’uomo nell’era della tecnica, era che fatica a distinguere un uomo da una macchina. Siamo in grado di affermare con assoluta certezza che il denaro vale sempre più di uno sguardo accogliente, una carezza tranquilla, un sentimento gravido di storia da parte di un familiare? Lo Stato è chiamato a supplire a queste esigenze, finché ci saranno. O troviamo il modo di sradicare questa mentalità dell’indipendenza nel lavoro a scapito di quella del tempo per la cura della famiglia, o dobbiamo accettare che lo Stato pro-curi nel miglior modo possibile, con equità e giustizia sociale, i servizi e le prestazioni che eroga, con i relativi costi. Immagini ogni lettore, cosa gli costerebbe pagarsi privatamente, secondo mere leggi del libero mercato, i servizi che lo Stato può invece erogare a costi migliori grazie al sistema della solidarietà. Il sostenitori del meno Stato e più mercato dovrebbero riflettere sulla questione a sapere se ritengono corretta, equa e giusta, una società dove solo taluni, sempre meno, potrebbero permettersi questi servizi. Essi dovrebbero chiedersi quali sarebbero i costi, gli svantaggi, anche competitivi (termine tanto in voga quanto abusato), di una società divaricata, spaccata in due. Quanto costano oggi queste politiche “familiari” (case anziani, asili), queste politiche di prevenzione e repressione del disagio proveniente dalla perdita delle relazioni affettive, familiari, d’amicizia, d’amore? Quanto stiamo e dovremo investire per un sostegno educativo, pedagogico, per le mense scolastiche per i pre- e dopo scuola sociali? In un calcolo dei mezzi, vale forse la pena sapere se tutti questi soldi, o parte di essi, non possano essere utilizzati per trovare soluzioni alternative e creative al problema della “mancanza di tempo” da dedicare ai figli, agli anziani, al vicino, e a noi stessi. Un compito questo che l’istituito Osservatorio cantonale delle politiche familiari potrebbe sviscerare dopo la fine del suo primo mandato prevista per il 2012.

Avv. Matteo Quadranti, candidato PLR al Consiglio di Stato e al Gran Consiglio