L’ufficio addosso: tra passato e futuro

giugno 2014 – PROGRESSO SOCIALE – RIVISTA SINDACATI INDIPENDENTI TICINESI

L’ufficio ha una lunga storia: dai registri degli antichi egizi per la conta degli schiavi e dei cereali agli organizzatori della logistica militare dei romani; dagli amanuensi nei conventi ai banchieri europei. L’ufficio come lo abbiamo vissuto finora è il frutto della rivoluzione industriale e delle innovazioni tecnologiche. I colletti bianchi e le scrivanie sono la parte pulita della fabbrica. Quando poi nascono i commerci marittimi e la ferrovia, il business richiede contabilità più complesse, logistica e organizzazione. Non basta più il padrone che dà un ordine al dipendente che lo esegue. Nascono strutture che si occupano del funzionamento dell’impresa. Uffici sempre più grandi che agiscono in nome dei proprietari senza essere proprietari: luoghi tecnici organizzati su basi gerarchiche, con l’apparizione nella prima metà dell’Ottocento della figura del manager. Il modo di lavorare negli uffici del capitalismo nascente era abbastanza casuale, ma con l’avvento delle specializzazioni e, man mano, delle prime tecnologie (telegrafo, telefono, fax, macchine da scrivere) cambiano le esigenze e i modi di lavorare. Più si sviluppano le grandi industrie e più fioriscono imprese di soli uffici: le banche, le compagnie di assicurazione, le società di consulenza. L’ufficio diventa il nodo centrale nella catena di comando e di amministrazione dell’economia. Si ergono grattacieli di soli uffici con piani specializzati per funzioni e la stessa architettura degli uffici muta (uffici senza o con una o due finestre a dipendenza del rango). L’ufficio diventa insomma centrale nella vita di milioni di persone, crea l’anima e il volto di molte città nonché è il cuore del funzionamento e del controllo del capitalismo. Spesso basato in origine su rigidi schemi organizzativi (file di scrivanie allineate, rigidi orari di lavoro, divieti di conversazione private, pause contate), nel secondo dopoguerra si cambiano le prospettive: si creano open-space, aree di interazione tra impiegati, si introducono piante, tappeti e più di recente, per i più fortunati, anche zone relax e asili nido. Negli uffici si può far carriera più che in una catena di montaggio. Lo stesso impiegato è diventato più istruito e esigente, ha bisogno di un ambiente che l’aiuti nell’espressione della sua creatività, la quale ha un valore. E siamo in pratica agli uffici come li conosciamo oggi: luoghi d’incontro, di gossip, di giochi di potere. E il futuro dell’ufficio quale sarà? Alcuni sostengono che possa divenire inutile grazie a email, cellulari, tablet, wi-fi, videoconferenze, telelavoro. Con la scomparsa tendenziale della fabbrica in senso originario potrebbe scomparire anche la necessità degli uffici nati con e per essa. Il moltiplicarsi del traffico per entrare nelle città ci costringe ad ore di pendolarismo che potrebbero essere meglio sfruttate col lavoro a distanza. Le nuove tecnologie permettono di svolgere una serie di funzioni in automobile, in treno, in aereo o a casa: in solitudine (forse troppa: alienante, asociale) ma sempre connessi. Milioni di persone vivono già con l’ufficio portatile addosso 24 ore su 24 e 7 giorni su 7. I confini tra lavoro e vita privata non sono più gli stessi di 20 anni orsono. D’altra parte, anche nella tecnologica Silicon Valley non si stanno chiudendo gli uffici: al più integrano lavoro in ufficio e da casa o sul tragitto casa-ufficio. Insomma, l’ufficio non è ancora morto ma di nuovo in evoluzione, sempre meno rigido, più aperto alfine di avere collaboratori più soddisfatti ed efficienti, luoghi da cui si va e si viene modificando anche le modalità di controllo del lavoro del dipendente. Da luogo noioso e deprimente ma pur sempre centrale nelle nostre vite tanto da suscitare grandi discussioni e passioni forti, odio e amore: chi vorrebbe solo dimenticarlo e chi va nel panico se non ha la sua scrivania dove recarsi per distaccarsi da casa. Col mutare degli uffici e delle tecnologie si chiede ai collaboratori un nuovo modo di pensare e nuove conoscenze, ma si pongono anche nuove condizioni ai datori di lavoro. Dotando i dipendenti e i propri uffici di strumenti tecnologici e di controllo, sarebbe possibile oggi andare in ufficio solo per determinate attività di gruppo (riunioni, whorkshop, brainstorming) mentre il resto potrebbe essere svolto a casa. Di conseguenza, meno gente sulle strade, minori necessita di spazi e edifici. L’home office sgrava l’ambiente. Se anche solo un giorno a settimana ogni colletto bianco lavorasse da casa si risparmierebbero ore di pendolarismo e tonnellate di Co2. Il noto futurologo Lars Thomsen ritiene che nel 2020 le forme lavorative mobili saranno la regola, i luoghi di lavoro saranno più d’uno. Nei prossimi 7 anni si prevedono sviluppi tecnologici notevoli per cui la scrivania fungerà da display e la tecnica reagirà a comandi vocali e gestuali. Il lavoro non verrà più misurato in unità quantitative, ma per il suo valore. Lavorare assumerà tratti più “umani”. I nativi digitali o millenial (nati dopo il 1981) sono cresciuti con questa tecnologia. E di ciò devono tenerne conto i percorsi formativi ma anche le aziende. Come ho scritto altrove, i giovani oggi chiedono grande flessibilità e considerano la mobilità lavorativa come una premessa basilare. Per contro, il denaro è un fattore al quale assegnano sempre meno importanza, preferendogli organizzazioni dotate di obiettivi chiari e interessanti così come una buona cultura aziendale. La aziende dovranno pertanto sviluppare questi valori e favorirli con forti personalità dirigenziali.