Letteratura, politica e giustizia

marzo 2014 – PROGRESSO SOCIALE

Per sfuggire agli orizzonti ristretti entro cui sarebbe confinata la nostra esistenza ci serviamo, da un lato, dell’immaginazione e delle figure tratte dai testi letterari o dai media e, dall’altro, del confronto con le persone reali. In genere quel che siamo non ci basta : qualcosa manca e i desideri ne vanno in cerca. Letteratura, teatro, filosofia, storia, e via discorrendo, ci rendono partecipi delle infinte combinazioni di senso che gli inevitabili limiti storici e geografici dell’esistenza individuale rendono di fatto inaccessibili. A partire dall’infanzia le fiabe, i racconti di viaggio e di avventura, le poesie e i romanzi, il cinema, ci stanano dalla chiusura in noi stessi o nei nostri “saperi tecnici, professionali”; ci mostrano le infinite possibilità dell’esistenza. La letteratura spalanca nuovi mondi, ossigenano la mente, inoculano idee, passioni, sensazioni che altrimenti ci sarebbero precluse o ci resterebbero incomprensibili o fraintese. È in ogni caso fuor di dubbio che tutti noi – malgrado le legittime aspettative e desideri di “unicità” della nostra personalità – siamo forgiati dalle vite degli altri (reali o immaginari). Tralascio qui di entrare nel merito dell’influenza della pubblicità e dei mezzi d’informazione, della tendenza al conformismo e all’uniformazione dei consumatori in quanto sarebbe semmai tema di altra riflessione. Immaginare altre vite e confrontarle con quelle reali è senz’altro un fattore di cui la politica deve, o dovrebbe, tener conto. Infatti i politici debbono conoscere le variegate vite e problematiche dei cittadini e poi saper immaginare, progettare sensatamente le loro vite future affinché siano migliori. D’altro canto, la scrittrice Susan Sontag scriveva che ciò che fa di noi degli individui “morali” è soprattutto il tipo di attenzione (emotiva, empatica, umana) che prestiamo al mondo che ci circonda, a cominciare dalle persone che lo popolano. A questo tipo di attenzione sono esposti, al pari di ogni professione o specializzazione, anche gli operatori della giustizia (giudici, magistrati e avvocati). Quest’ultimi, abituati al ragionamento per il sillogismo giuridico, hanno, o corrono il rischio di avere, la tentazione di cadere in quelle che si potrebbero definire delle categorie generali e astratte (di fatti e di persone) come prevedono le norme di legge da applicarsi al caso concreto. Nessuno dubita, come diceva John Rawls, che operazioni classificatorie e semplificatorie delle molteplicità del reale siano utili o addirittura indispensabili, tanto agli individui, quanto alle società che aspirino a essere “ben ordinate”. Il compito, per chi non vuole restare sordo alla domanda di “giustizia umana” posta da qualsiasi questione di diritto, è di individuare il punto di equilibrio tra le due polarità della categoria giuridica ad esempio dei “ladri” o dei “poveri” e quella del “singolo” con la sua vicenda umana.

Pure il legislatore deve fondare le proprie decisioni su una “conoscenza profonda del cuore umano”: su quella attenzione ai “tanti cuori, ognuno con i suoi insondabili misteri e le sue appassionate tenebre”, da cui nasce l’abilità di stilare “norme precise, che tutelano ognuno, permettono al singolo individuo di vivere la sua irripetibile vita” come suggeriva già Cesare Beccaria nel suo “Dei delitti e delle pene”. La condizione per trovare questo giusto “equilibrio dell’attenzione”, sia nella professione giuridica sia in quella legislativa, oltre che dalle conoscenze tecniche specifiche, deriva dalla maturazione di una “intelligenza delle emozioni” per dirla con la filosofa Martha Nussbaum (in “Giustizia poetica”, ed. Mimesis, 2012). Ovvero quella capacità di coltivare dentro di sé quelle emozioni creative grazie alle quali si può pervenire a una forma decente di comprensione umana, che è poi la guida sicura per maneggiare razionalmente ed eticamente gli arnesi del mestiere giuridico. Insomma, oltre al sapere tecnico bisogna allargare o non dimenticare il sapere umanistico. La conoscenza di una buona narrativa costituisce una potente forma di educazione al rispetto della libertà e dignità dell’uomo. Il penalista che tenga conto dell’idea stessa di finalità rieducativa della pena, non può non attenersi sempre all’idea di dignità dell’uomo intesa come possibilità di cambiamento, come libertà di affrancarsi da un destino inchiodato dall’ineluttabilità della condanna. La letteratura offre un immenso giacimento di storie aperte al possibile, sottratte a un corso predeterminato e programmato, le cui narrazioni “rendono giustizia” alle nostre vite, rese “irregolari, incerte, imprevedibili”. Pico della Morandola, nel suo famoso testo “Sulla dignità dell’uomo” celebrava già l’unicità dell’essere umano, proprio per la sua “camaleontica mutabilità”, per una potenzialità metamorfica infinita. I crimini di odio, ossia le violenze contro persone “selezionate” per “sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni sociali e personali” sono spesso il frutto di etichette, categorie che di per sé violano diritti fondamentali costituzionali quali quello dell’uguaglianza davanti alla legge e della dignità umana. In conclusione, indipendentemente dalle discipline in cui ci si specializza, ogni formazione, universitaria o non, dovrebbe fornire un kit completo per consentire anche ai migliori di sapere qualcosa in più di narrativa, morale, scienze sociali, economia, politica per poter vedere la realtà e modernità in modo critico, tenendo conto sempre che dietro ad ogni categoria vi sono persone.

Avv. Matteo Quadranti, granconsigliere