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21 marzo 2007 – La Regione Ticino
Il programma di legislatura del PLRT prevede, per un Ticino aperto al futuro, d’introdurre l’insegnamento della storia delle culture e religioni nelle nostre scuole. Molto inchiostro è colato e fervidi avversari si sono palesati anche tra qualche cattolico liberale. Ciò sorprende poiché un tale atteggiamento, di chiusura, mi pare, in primis, estremamente illiberale, e quindi antidemocratico. Una società è aperta se lo è a più scale di valori e idee anche contrastanti, a più visioni del mondo filosofiche e religiose e alla più grande quantità di critica. Per dirla con Karl Popper, “la società aperta è chiusa solo agli intolleranti”, suoi nemici. A maggior ragione, oggi che i Paesi europei si trovano nel bel mezzo del cammino che porta alla post-modernità (globalizzazione, civiltà delle reti, meticciamento), l’apertura culturale e alla conoscenza vera dell’altro dev’essere un concetto guida per poter comprendere in che misura aprirsi in altri settori, ad esempio quello economico (se devo trovare un accordo con un’altra persona dovrò conoscerla, sapere come e perché la pensa in un certo modo, o no?). Tra i principi fondanti del pensiero liberale vi sono quelli della laicità, della tolleranza reciproca, della dignità umana e ciò di cui questa è intrisa. Essere laici non equivale ad essere “antichiesastici” (di crociana memoria). Il laico separa, criticamente, la religione dalla politica. Il liberale crea il dialogo perché ha il senso dello Stato che è l’istanza moderna di regolazione dei diversi bisogni della società. Se lo Stato è la comunità democratica dei cittadini, che vive del pluralismo delle formazioni sociali, dei partiti, delle culture e delle etnie, delle religioni, esso non può essere agnostico e neutrale, non può difendere la causa degli uni e osteggiare quella degli altri. Lo Stato laico è quello che – garante del dialogo sociale tra le diverse identità – non è indifferente alle istanze religiose dei cittadini, in un contesto pluralistico che esige la libertà di religione per ogni credente e per ogni ateo.
L’avversità all’ora di storia delle religioni mi pare poi, paradossalmente, contraria anche alla dottrina cattolica più recente e ai principi del cristianesimo che si vorrebbero invece proteggere, sempre che siano minacciati. Pensando a quanto scrisse l’allora cardinale Ratzinger dialogando col filosofo Habermas e a quanto riprende oggi il Patriarca di Venezia, cardinale Angelo Scola, cadute le utopie (socialismo sovietico, fascismo, nazismo) le quali sono state religioni politiche sostitutive, l’Occidente si ritrova a fare i conti con una pluralità di grandi aree culturali – Islam, Induismo/Buddismo, culture tribali africane,… – e con conflitti anche profondi all’interno delle stesse. L’attuale Papa conclude il suo buon messaggio cattolico sostenendo che l’unica strada aperta per la pacifica convivenza è quella della disponibilità ad apprendere e all’autolimitazione da entrambe le parti (religiosa e laica). Lo Stato laico moderno non deve pertanto dimenticare o rinnegare le tradizioni religiose, storiche e costituzionali da cui trae le sue origini: valori e procedure per il consenso democratico; libertà religiose, civili e politiche; convivenza dialogica, Stato di diritto. Lo Stato laico postmoderno deve promuovere, tutelare e valorizzare tutti i soggetti in campo in modo che gli stessi si conoscano e riconoscano reciproca dignità. Infatti solo il riconoscimento rigenera continuamente le identità ponendole al riparo da integralismi, mentre impedisce che le differenze portino a esclusioni conflittuali. Gli organi dello Stato – attraverso la scuola pubblica e laica – devono perseguire instancabilmente il “compromesso nobile” che è il cuore dell’azione politica, così come Papa Giovanni Paolo II ha perseguito nel suo lungo pontificato il dialogo, l’avvicinamento e la reciproca conoscenza tra religioni. Perché solo così si otterrà l’intesa e la comprensione reciproca richieste dal bisogno primario della condivisione di ciò che è il bene comune. Lo Stato liberale non necessita, per legittimarsi, di dover fare appello a premesse unificanti di tipo religioso; e penso che la Chiesa cattolica non necessiti di avere la tutela dello Stato per far passare i propri messaggi di fede.
Non vedo quindi il pericolo e le controindicazioni per un cattolico nel sostenere l’utilità di consentire ai giovani residenti, svizzeri e stranieri, di apprendere e conoscere le rispettive culture e religioni, insegnate in modo oggettivo – i manuali d’insegnamento esistono già a bizzeffe – non fondamentalista. Mi pare che sapere sia ancora meglio che ignorare e pre-giudicare. Una cultura umanista deve accompagnare la formazione tecnica, salvo volere solo dei tecnocrati.