La riforma dello stato: un lume

25 novembre 1999 – Opinione Liberale

“… solo con quel sapere invisibile delle dita si potrà mai dipingere l’infinita tela dei sogni.”

Josè Saramago, La Caverna

Se si può genericamente ammettere che quanto viene deciso a livello partitico e politico è digerito, assimilato ed accettato dal cittadino – spesso grazie all’intervento di lobby o interessi “enzimatici” – è pur anche vero che sembrano sempre più frequenti i casi in cui, allorquando ci si presenta con iniziative o referendum alla votazione popolare, i cittadini smentiscono categoricamente le direttive partitiche o i pareri dei vertici politici.

D’altro canto lo stacco comunicativo all’interno del binomio vertice – base sia nell’apparato partitico sia nel rapporto amministratori – amministrati, è vieppiù marcato da un senso di sfiducia reciproco. La base amministrata si considera impotente, inascoltata e il vertice gestore si sente talvolta incompreso e nella peggiore delle ipotesi superbo e troppo intelligente per il volgo che non segue.

Nel romanzo ” La Caverna ” di José Saramago – premio Nobel per la letteratura 1998, ulteriore esempio metaforico della realtà odierna – ho trovato il seguente passaggio che ritengo illustrativo del “gap” comunicativo e di stimolo per riflessioni che possono andare ben oltre questo semplice contributo:

” sono pochi coloro che sanno dell’esistenza di un piccolo cervello in ciascuna delle dita della mano… Quell’altro organo che chiamiamo cervello, quello con cui veniamo al mondo, quello che trasportiamo nel cranio e che trasporta noi affinché noi trasportiamo lui, non è mai riuscito a produrre altro che intenzioni vaghe, generiche, diffuse riguardo a ciò che le mani e le dita dovranno fare. Se, per esempio, al cervello della testa è venuta l’idea… solo perché ha trasmesso un ordine alle mani e alle dita, crede, o finge di credere, che questo era tutto ciò di cui c’era bisogno perché il lavoro…si presentasse fatto. Non ha mai avuto la curiosità di domandarsi per quale ragione il risultato finale di codesta manipolazione, sempre complessa persino nelle sue espressioni più semplici, assomigli tanto poco a quello che aveva immaginato prima di dare istruzioni alle mani. Si noti che, quando nasciamo, le dita non hanno ancora un cervello, che ci si va formando a poco a poco col passare del tempo e l’aiuto di ciò che vedono gli occhi…Ecco perché quanto di meglio le dita hanno saputo fare è stato proprio rivelare l’occulto. Quello che nel cervello potrebbe essere percepito come scienza infusa, magica o soprannaturale,…sono state le dita e i loro piccoli cervelli a insegnarglielo. Perché il cervello della testa sapesse cos’era la pietra, prima c’è stato bisogno che le dita la toccassero, ne sentissero l’asperità, il peso e la densità, c’è stato bisogno che vi si ferissero. Solo molto tempo dopo il cervello ha capito che da quel pezzo di roccia si sarebbe potuta fare una cosa che avrebbe chiamato coltello e una cosa che avrebbe chiamo idolo. Il cervello della testa è sempre stato in ritardo per tutta la vita rispetto alle mani…”.

Questa metafora – magica per semplicità e al contempo adattabilità a svariati temi d’approfondimento – la colgo per ribadire e supportare qui la necessità intravista dal vertice del partito di modificare lo statuto e con esso l’organizzazione dell’apparato alfine di renderlo più ricettivo e veloce per rapporto a quanto le “mani” e le “dita” liberali chiedono e talvolta gli suggeriscono esplicitamente o implicitamente. D’altro canto troppo spesso queste “mani e dita” sembrano dimenticare d’avere esse stesse un piccolo cervello che ha gli strumenti, assieme ad altre mani e dita, per modificare, trasformare ciò che dall’alto viene calato o non viene recepito tra le pieghe – talvolta in buona fede e talvolta perché non lo si vuole recepire.

D’altro canto non v’è chi non veda come il vertice non possa esistere senza la base, mentre non vale il contrario.

In un senso come nell’altro è spesso il modo di porsi, è l’approccio che risulta sbagliato, unilaterale, privo di reale interesse all’ascolto e al proponimento.

Il principio non è mai stato il capo nitido e preciso di una linea , il principio è un processo lentissimo che richiede tempo e pazienza.

La proposta di riforma dello statuto del partito è un principio eppure la levata di scudi sembra volerne decretare la morte prima ancora di averne valutato le sfaccettature, i vantaggi, gli svantaggi e i possibili emendamenti.

Troppo spesso si ha l’impressione che le proposte vengano impulsivamente recepite come imposizioni invece che come basi di lavoro, di dibattito. Le novità sono spesso ritenute fantasiose o frutto di persone che ignorano la realtà e lo stato delle cose e delle pratiche vigenti. Talvolta però l’ignoranza è capace di avere intuizioni profetiche.

Affrontiamo quindi questa importante quanto indispensabile discussione interna al partito con uno spirito costruttivo e non lanciando le pietre come troppo spesso accade.

Già solo il fatto di dibattere del problema della comunicazione e della rapidità di reazione interna ed esterna all’apparato partitico – problema che è una realtà innegabile – , è di per sé un “lume”: d’allarme e di riflessione intellettuale sul senso dell’essere partito.