Il tempo della politica

23 ottobre 2014 – Corriere del Ticino

L’attuale generazione di mezzo (i quarantenni e cinquantenni) è figlia dei babyboomers, ovvero di quelli nati e cresciuti nel boom del secondo dopoguerra, e genitrice dei nativi digitali, nati dopo gli anni ’90. Essa si trova nel mezzo di due cambiamenti di paradigma, uno sociale e l’altro tecnologico. In questa situazione, anche i politici attivi della mia generazione, ma non solo i politici, debbono mettere a frutto il bagaglio d’esperienza del passato: quello dei nostri genitori che pur memori della durezza della vita dei loro avi, hanno vissuto un benessere crescente in un periodo storico del tutto eccezionale, che ha permesso la conquista di diversi diritti fondamentali. Essi devono tuttavia, pur gestendo le problematiche del presente, avere la capacità di proiettarsi verso il futuro per garantire alla generazione dei nostri figli il maggior benessere possibile tenuto conto però dei grandi sconvolgimenti globali che non possiamo ignorare. Sconvolgimenti che richiederanno maggiore flessibilità, minori certezze di un posto di lavoro fisso dai 18 ai 65 anni a pochi km da casa. Il passato appartiene al racconto, il presente è il tempo dell’azione, ma è solo il futuro il tempo della politica, almeno nella misura in cui la politica è ancora visioni, profezie e non semplice amministrazione e manutenzione dell’esistente.
L’idea di futuro implica una riflessione sui problemi di oggi per operare una critica dell’esistente a partire dalla nostra vita. Oggi viviamo un presente dilatato e un orizzonte di aspettative ristretto e nebuloso che sembra aver annullato ogni fiducia nel futuro spingendo a cercare soluzioni istantanee e immediatamente fruibili. Quanto siamo noi disposti a rischiare per porre in essere possibilità di cambiamento radicale? Quanto siamo pronti a mettere in discussione il nostro attuale modello di vita? Se non vogliamo soccombere all’indifferenza, al cinismo, alla rassegnazione e alla crisi conclamata, dobbiamo ripensare i paradigmi economici, politici, tecnologici e sociali su cui si è orientata finora la nostra società. In un recente convegno sono stati individuati 4 ambiti politici che maggiormente richiedono visioni prospettiche: (1) chi progetta spazi, progetta anche comportamenti. Per cui la politica deve pensare all’architettura e alle infrastrutture urbanistiche. Spesso dietro le bellezze urbane troviamo l’orgoglio del clero, del monarca, del vincitore, di oligarchie finanziarie e mercantili. Per contro la bellezza urbana dovrebbe rispondere meglio al concetto di uguaglianza tra le persone ed essere più democratiche; (2) quale modello di cittadinanza vogliamo visto che il concetto attuale di identità civica è insoddisfacente? I fenomeni di immigrazione o di semplice commistione, la geopolitica, ci impongono comunque e costantemente una riflessione circa il diritto, e soprattutto la reale possibilità, a restare “tribù”; (3) quale organizzazione democratica sostenere, correggere per rapporto al concetto attuale? Quali gerarchie e quali poteri si dovranno controllare o piuttosto separare per evitare di restare sudditi? Recenti esperti e premi Nobel dell’economia hanno rilevato e dimostrato come vi sia stata un’impennata delle élites e dei monopoli. I ricchi sono sempre più ricchi e potenti a livello mondiale, poi vi è il resto del mondo. Aumenta il capitale finanziario e si riduce quello produttivo con conseguente riduzione dei salari e del potere d’acquisto. Aumentando le disuguaglianze, il problema del XXI secolo non è il capitale, ma la democrazia, il sistema politico che non garantisce la competitività e la regolazione dei mercati (4) quali saranno i diritti che ci permetteranno di restare umani anche in futuro? Quelli dei poteri forti che notoriamente, come insegna la storia, non hanno mai avuto interesse a cambiare lo stato delle cose oppure quelli di chi, più debole, punta a rigenerare la società in base ai nuovi bisogni?

Per questo dobbiamo tornare a fare politica e uscire dalla secca nella quale ci troviamo da troppo tempo. Il futuro è il nostro tempo.

Matteo Quadranti, deputato PLR