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16 Gennaio 2015 – La Regione Ticino
Nel 1830, nessun Paese al mondo (salvo gli Stati USA) conosceva i partiti politici. Esistevano tendenze, fazioni che si dividevano le Repubbliche, che si raggruppavano attorno ad un condottiero. Qualcuno oggi è tornato ad invocare, per me a torto, la necessità di leaders mediatici. Come l’essere umano, così i Partiti politici subiscono l’influenza del tempo. Il loro sviluppo è legato all’aumento della domanda di partecipazione alla formazione delle decisioni politiche. Essi sono coerenti con la procedura democratica laddove hanno una funzione civica, educativa e di ricerca del consenso. Regola della maggioranza e partiti sono inscindibili. Perciò essi sono organizzazioni della società che sorgono e agiscono quando si riconosce al popolo il diritto di partecipare alla gestione del potere politico. La domanda di partecipazione dovrebbe essere più intensa nei momenti di grandi tensioni e trasformazioni economiche e sociali che sconvolgono la società, l’economia e minacciano di modificarne i rapporti di forza. La politica rimane un destino della condizione umana, al quale non è possibile sottrarsi. Parimenti la democrazia si fonda sui partiti politici la cui importanza è tanto maggiore, quanto maggiore applicazione trova il principio democratico. Solo l’illusione o l’ipocrisia può far credere che la democrazia sia possibile senza partiti. Lo spirito antipartitico è perciò la corrente corrosiva che oggi mette in crisi le democrazie. Esso può vestire panni insospettabili, come quelli della democrazia deliberativa, l’espressione più accattivante dell’odierna resistenza alla politica partigiana. In realtà, più le lealtà di partito si indeboliscono più scema l’interesse per le questioni pubbliche, e più i gestori del potere guardano ai loro interessi o a quelli del ristretto gruppo al quale sono legati. Lo spirito di partito, come lo intendo e andrebbe inteso, nobilita la partecipazione larga assegnando una sorta di imparzialità poiché chi si spende per una parte è disposto a farlo a costo di sacrificare interessi personali e privati. L’antipartitismo è una pessima ideologia per la democrazia che espelle dalla politica i cittadini ordinari e lascia in campo solo quelli che nella politica ci stanno per ragioni meno nobili. Li espelle insieme al dissenso, che è segno di interesse perché noi ci impegniamo a discutere e a dissentire per le cose a cui teniamo. L’indifferenza e l’incapacità di ascolto dell’altro possono stare senza partito, non l’attenzione del cittadino per le questioni pubbliche. Delega di competenze e plebiscito di leader che a tutto provvedono sono i maggiori segni di declino dello spirito di parte che attraversa le società contemporanee e per correggere il quale bisogna riabilitare lo spirito di partito, una reinterpretazione della politica che non considera l’antagonismo e il dissenso come segni sconfortanti di una crisi di stabilità e di governabilità. La possibilità che i partiti siano strumento di democrazia è legata alla partecipazione della loro base. Purché questa non rinunci ai propri diritti fondamentali lasciandosi cadere nell’apatia, nell’inattività, nell’astensione. Fare politica significa lottare contro le avversità e gli avversari per trovare delle soluzioni nell’interesse comune. Rinunciare a lottare, ad essere propositivi e convogliare ideali e progetti nuovi per costruire noi stessi il nostro futuro, significa essere un semi-popolo lasciando che gli eventi ci cadano addosso per poi lamentarci del fardello che ci ritroviamo a portare. Un partito politico ha tre funzioni: selezionare gli uomini politici, fornire loro un programma avente scopi materiali ma anche ideali, canalizzare il consenso della base elettorale. I Partiti, come le organizzazioni di categoria, sono il ponte di congiunzione tra la base dei cittadini e il vertice della classe politica. Il bene della democrazia sta nel rinvigorimento dei partiti, non nella loro eliminazione. Come ogni sistema, il partito può cadere talvolta in un cattivo funzionamento, perdendo di vista i propri ideali ma contro tale male si deve agire con prevenzione e vigilanza e non con astratto criticismo o irrazionale estremismo. Ogni Paese ha più bisogno di stabilità, continuità e tranquillità che non di sconvolgimenti per cui si tratta semmai di riformare quei partiti che come il PLR hanno saputo in oltre cent’anni di storia proporre un indirizzo coerente, programmi a lungo termine, affidabili e, soprattutto, realizzabili. Certo ad ogni momento possono sorgere movimenti politici più agili, ad personam, miranti a nuove nicchie di elettori. A Terzo Millennio inoltrato dobbiamo recuperare il ruolo della Politica e la forza della nostra ideologia originaria. Le sfide non sono più quelle di un tempo. Altre se ne sono affacciate e si chiamano informatizzazione, globalizzazione dell’economia, disoccupazione, ecosistema, recessione, solidarietà e responsabilità verso le generazioni future. Si tratta di reinterpretare il rapporto tra Stato ed Economia. Dove il progresso dell’economia è un mezzo al servizio del benessere dell’uomo e non un mezzo fine a sé stesso. È tutto il collettivo PLR che deve vincere.
Matteo Quadranti, deputato PLR