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2 Dicembre 2010 – La Regione Ticino
Il liberalismo nasce nel contesto di una società europea (XVI/XVII secolo) molto gerarchica dove il potere era monarchico e le credenze dominate dalla religione (pur nella crisi tra cattolici e protestanti). La scienza, la cultura e l’educazione erano vincolate a dogmi che imponevano un unico modo di pensare e sentire e ne riducevano drammaticamente il dibattito e l’innovazione (il processo a Galileo, è solo uno degli esempi possibili). Il sistema economico era rigido e non egualitario poiché in mano a una aristocrazia potente e protetta dalle leggi. Il liberalismo, grazie all’Illuminismo, nasce come concetto e ideale politico-costituzionale, e non economico. Esso fu ed é la rivoluzione dei diritti dell’uomo intesa. Esso fu la formula politica incarnatasi nello Stato politico sovrano, neutrale e agnostico, attraverso la quale si riuscì a garantire la libertà individuale e la tolleranza di tutte le opinioni e fedi. Infatti fu grazie ad esso che si trovò una nuova forma di governo in grado di riunire gli uomini divisi dalla separazione dei due poteri, temporale e spirituale, obbligandoli a riconsiderare sin nei suoi fondamenti il senso della vita comune. Il liberalismo fu e resta il nocciolo duro dell’epoca moderna/contemporanea in quanto è l’unica formula capace di organizzare politicamente la libertà, di conciliare l’autonomia dell’individuo libero e eguale, con la difesa degli interessi generali della società e la costruzione di un ordine politico “giusto” e stabile. Lo scontro tra ideologie che ha caratterizzato il ‘900 ha lasciato molti sconfitti e un vincitore: il liberalismo. Il dispositivo liberale è costituito da due poli in tensione che sono, l’uno per l’altro, uno strumento e un ostacolo. Questi poli sono: lo Stato e la società e si condizionano reciprocamente. Lo Stato è la condizione di possibilità dell’ordine liberale. Solo uno Stato così può governarci lasciandoci liberi, di operare nella società, intesa anche come “mercato”, “commercio”. Le questioni sono ora quelle a sapere: (a) se il liberalismo si trovi dinnanzi al rischio di restare vittima del suo successo, (b) se il fatto di essere stato abbracciato da molte, se non tutte, le forze politiche non lo abbia portato a impoverimento dottrinario dei suoi precetti, valori e ideali, aprendo un varco all’unico avversario apparso: il populismo, (c) se si è prodotto quello che è stato definito “un liberalismo dell’indifferenza” e infine, (d) se il liberalismo è messo in crisi nel suo dispositivo e nel suo principio. La crisi c’è, ma non è tale da rimettere in discussione la rivoluzione liberale, che anzi deve essere permanente e vigile, oggi come due secoli orsono, perché gli insegnamenti della storia non si possono archiviare solo perché é trascorso del tempo. Negli ultimi decenni siamo passati dal governo liberale a un neo-liberalismo delle regole (Hayek) distante dal liberalismo reale. In questo periodo si è pensato non solo che la società, il mercato avrebbero potuto fare a meno della regolazione statale, ma addirittura che si sarebbe aperta una via verso l’umanità globalizzata. Si è trattato di un’utopia liberale (ultraliberale?) laddove si è pensato che si fosse pronti per una “governance delle regole”. Regole stabilite, non da governi responsabili di fronte ai cittadini, ma da “comitati” non responsabili davanti a nessuno, apparentemente “legittimati” dalla “evidente bontà delle regole”. La crisi finanziaria ha dato un duro colpo a questi “comitati” che si fregiavano della loro purezza da ogni contaminazione politica (peraltro non vera). Svanite le illusioni della (free) governance, il governo deve tornare in primo piano e va ripoliticizzata, in senso positivo, la vita della nostra società con la responsabilità di tutti. Il principio di responsabilità individuale non significa non avere una responsabilità verso la “cosa comune”. Al liberalismo economico portato agli eccessi, all’origine della crisi attuale, va rimproverato, più che la crisi in sé, il fatto di aver elevato l’individualismo e devitalizzato a tal punto i legami collettivi, le coesioni naturali, che quando le cose non vanno, non sappiamo più verso cosa rivolgerci. Ed è a questo punto che nascono i pericoli per il vero liberalismo politico che è minacciato oggi: dalle correnti religiose, dalla rinascita di diseguaglianze e di luoghi del potere al di fuori della politica, dalla tentazione dell’antipolitica che sta a significare la subordinazione della politica al commercio (anche dei voti) nel senso che la politica è posta al servizio di istanze non politiche, sottratte al controllo democratico liberale. Infine, i pericoli maggiori arrischiano di essere: il populismo e l’indifferenza della popolazione, di cui il populismo si alimenta portandola a voti “di pancia” e non “di testa”. Il liberalismo è il partito del movimento, del progresso, non quello del conservatorismo e del populismo irrazionale condotto da un “capo” tanto carismatico quanto poco “democratico”.