Formazione, strategica per il Ticino.

Ultimamente, complice il clima elettorale e la decisione della BNS di abolire la soglia minima del cambio del  Franco svizzero con l’Euro, si sono fatte sentire, da un lato, le voci sindacali (fatto più usuale sia verso i datori di lavoro sia verso lo Stato) e dall’altro, quelle degli imprenditori che hanno denunciato un clima ostile alle imprese, minacciato di scendere in piazza (fatto inusuale ma certo un segnale forte), di delocalizzare e ridurre salari o posti di lavoro. Gli imprenditori hanno rimproverato inoltre una diffidenza sociale da parte dei cittadini (vedasi marchi locali e etici) e una mancanza di ascolto da parte del mondo politico che avrebbe ignorato la piattaforma programmatica proposta nel 2011 (infrastrutture e trasporti, fiscalità e promozione economica, risanamento finanze pubbliche sane e riforma dei compiti dello Stato, Formazione), incrementato la burocrazia e non avrebbe una politica industriale, concentrato come è su pochi argomenti monopolizzanti il dibattito politico (frontalieri e padroncini). Gli economisti si sono risentiti per certe esternazioni e hanno risposto alle associazioni imprenditoriali. I partiti politici hanno inserito nei propri programmi di legislatura delle misure a dipendenza delle proprie basi o aspettative elettorali, delle proprie convinzioni e valori. Insomma un clima in ogni caso da tutti contro tutti, di generale scaricabarile dove nessuno avrebbe fatto ciò doveva fare secondo l’altra parte. La realtà è verosimilmente che ognuno qualcosa ha fatto nel limite di quanto il clima e i fattori oggettivi hanno consentito di fare. Certo è però che il Cantone non si presenta unito e, senza un minimo comune denominatore, un patto di governo sui punti essenziali, anche la prossima legislatura rischia di restare attraccata in porto, al riparo forse dalle onde esterne ma purtroppo senza nessun pescato o scambio commerciale competitivo col resto del mondo esterno. A più riprese ho sottolineato la necessità di uno Stato capace di innovare e rinnovarsi, di essere forte ma efficace ed efficiente, in grado di collaborare con i settori economici ma tutelando le fasce veramente più deboli. L’ambito della formazione e in particolare della formazione professionale in vista delle professioni future mi ha particolarmente interessato. Se, come afferma Mauro Dell’Ambrogio, nessuno può prevedere e pianificare i bisogni futuri di manodopera qualificata e vi sarà sempre qualche individuo che alla fine dovrà fare altro da ciò per cui si è formato, è altresì vero che le macrotendenze e gli assi strategici evidenziati dal recente studio “Ticino Futuro. Riflessioni per un itinerario economico ticinese” dell’Istituto di ricerche economiche, non possono essere ignorate. Una formazione al passo coi tempi dovrà insegnare la flessibilità, la versatilità e gli elementi base per poter acquisire competenze lavorando, riqualificandosi. Sarà utile, direi indispensabile: aprire un tavolo di discussione permanente – tra Mondo del lavoro, Stato (quindi Scuole), Società civile (famiglie e giovani) – per ognuno dei comparti dell’economia ritenuti essenziali per il Ticino e il suo futuro; promuovere seriamente un cambio di mentalità e dare pari dignità alla formazione professionale e a quella liceale. Almeno questo dovrà essere un punto fisso per tutte le forze politiche.