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9 e 10 Maggio 2007 – La Regione e Opinione Liberale
Lo spirito primaverile consente qualche divagazione sul tema gastronomico, e perché no, enologico, tanto caro e peculiare anche al mio Mendrisiotto – con le sue rassegne e i suoi vitigni – quanto di moda a più livelli. Sondiamone alcuni. Francesca Rigotti, docente di Dottrine politiche all’Università di Lugano, ha appena pubblicato un libro dal titolo “La filosofia in cucina” (ed. Il Mulino, 102 p., Euro 9.80). Vi si legge che gli ingredienti che vanno a comporre le ricette che si amano di più sono metafora dell’uno nel molteplice e del molteplice nell’uno, pratica fondante che sta alla base dell’esercizio della filosofia. Filosofia che è il grano della sapienza a differenza della retorica che è semplice orzo, e quanta indigestione d’orzo abbiamo avuto in questi tempi elettorali (sic!). Varrebbe forse la pena di correggere il tiro modificando la dieta che la politica sembra aver “imboccato”. Pensiamo agli stoici per i quali l’uovo, ad esempio, rappresentava la struttura della filosofia: il guscio era la logica, l’albume l’etica e il tuorlo la fisica. Vale a dire, nell’ordine, l’ossatura del pensiero, la parte più vischiosa e sfuggente, che è il saper distinguere tra il Bene e il Male, mentre il cuore dell’uovo, compatto e definito, rappresenta la scienza della natura. Oggi pare che dei tre elementi si prediliga il tuorlo, quello sbattuto intendo, a discapito degli altri elementi (logica/coerenza e etica). Tutto è lotta “fisica” (o quantomeno sgomitate competitive), progresso tecnologico e natura, un po’ sbattuta per l’appunto.
Tornando alla relazione cibo-sapere, l’autrice del saggio sostiene che sia innegabile che conoscere e mangiare sono “fatti della stessa pasta, sono figli della stessa madre: la fame”. Il linguaggio è pure ricco di metafore e commistioni che rimandano all’associazione d’idee tra cibo e parola: sete di conoscenza, divorare un libro, masticare una lingua antica o straniera, raccontare aneddoti piccanti, ricordi dolci o amari, “ è tutto un magna magna”, ecc… Nell’eucaristia cristiana, per avvicinarci a Cristo, Gesù ricorda ai suoi che “chi si ciba della mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui”. Roland Barthes, semiologo francese disse, nella sua prima lezione al Collège de France, a proposito della doppia natura della sapienza, che “Questa esperienza ha, credo, un nome illustre e démodé… Sapientia: nessun potere, un po’ di sapere, un po’ di saggezza, e quanto più sapore possibile”. Decisamente concetto fuori moda nell’attuale politica che appare più rivolta al “molto potere e insipidità” e “meno sapere e assennatezza”.
Fortunatamente vi sono tendenze nuove che avvicinano la gastronomia e i buongustai a ciò che è bello, ovvero l’Arte. Magari la politica potrà cogliere qualche spunto creativo ad esempio da quanto sta avvenendo a Parigi dove alcuni ristoranti dei Musei, da semplici e insipide Tavole Calde, si sono trasformati in luoghi dove soddisfare pupille e papille secondo la “culinart” ossia l’accostamento ottico-gustativo tra piatti proposti e opere esposte. Tra i più noti ristoranti museali dove “mangiare artistico”, vi sono quelli del Museo d’Arte contemporanea di Val-de-Marne o quello delle Arti decorative a ridosso del Louvre (cfr. www.restaurant-transversal.com, www.lesautduloup.com). Non è forse un caso che una tale tendenza nasca in Francia, uno dei due paesi col Giappone, dove l’estetica del piatto ha un’importanza essenziale ed è un’esigenza perché, come dice lo chef “quando si mangia, si parte con un atteggiamento più positivo, se il piatto è bello. E’ una questione fisica”. Anche qui, se la politica fosse un po’ più bella non solo esteticamente o esteriormente, forse la gente si metterebbe più volentieri a tavola a dialogare, interagire, apprendere. Kant diceva che “mangiare da soli (ognuno per sé o nel proprio interesse, aggiungo io) è nocivo, c’è sempre bisogno di una buona compagnia (ndr. nel solco del pluralismo) che sia però tra tre e nove, non meno delle Grazie e non più delle Muse (ndr. perché l’eccesso di pluralismo crea populismo, qualunquismo e individualismo).
Quindi, se la politica è ancora un arte, perché non chiedere aiuto alla “culinart” nostrana, affinché proponga una nuova ricetta per il rilancio di una sapiente politica?