Estate, tempo di viaggi

3 luglio 2009 – Opinione Liberale Rubrica Ballate Maltesi

dentro e fuori sé stessi

“I viaggiatori, come i poeti, sono una razza rabbiosa” osservava Sir Richard Burton, grande viaggiatore e avventuriero del XIX sec.. Sarà ma ciò nulla toglie al fatto che i viaggi sono fonte di molti benefici. La gente sa, o apprezza, troppo poco del proprio Paese se non ne conosce altri. Il viaggio è una ricca fonte d’informazioni e prospettive diverse. Si tratta di cose preziose di per sé, che hanno anche il merito pratico di permettere di collocare il proprio ambiente e i suoi abitanti in una luce istruttivamente nuova: suggeriscono nuove possibilità, progressi mai immaginati, e buoni motivi per trovare soddisfazione in casa propria al rientro. Tutte cose che vale la pena procurarsi. In passato i viaggiatori diffondevano notizie e conoscenze, riportando in patria le osservazioni effettuate all’estero. A volte i loro racconti erano inverosimili e in altri casi essi importarono ed esportarono malattie, ma la maggior parte dei progressi tecnologici, agricoli e culturali compiuti dall’umanità fu il risultato di conoscenze acquisite grazie ai viaggi intrapresi da singoli individui.

I vantaggi della conoscenza maturano, tuttavia, solo per il vero “viaggiatore”, e non per il “turista”, quest’ultimo essendo un mero prodotto del consumismo. La distinzione è sostanziale. Il viaggiatore è un individuo attivo che ha ben compreso l‘osservazione di Samuel Johnson: se s’intende tornare a casa con la valigia piena di nuove conoscenze occorre partire portandosi dietro le proprie. Il viaggiatore è attivo, va per vedere, osservare, imparare, simpatizzare e comprendere. Il turista, al contrario, è passivo: si aspetta di essere portato all’estero, accompagnato dall’aeroporto al suo albergo, intrattenuto con spettacoli, rinfreschi e protetto da ogni fastidio esterno. Prima di partire il turista non si dà da fare per imparare il primi rudimenti della lingua locale, ma si affida ad un inglese ben scandito o alla guida inclusa nel pacchetto offerto dall’agenzia di viaggio. Il viaggiatore invece cerca l’avventura, non ultima quella della mente; il turista si attende che gli capitino cose carine. A ben vedere, il turista che va all’estero si aspetta qualche differenza, ma il suo approccio è quello dello spettatore, e non dello studioso; e, a quel punto, potrebbe benissimo restarsene a casa davanti al televisore. “Quando si partecipa a un viaggio organizzato, non è nemmeno necessario sapere che il Cervino non è un animale” scriveva Temple Fielding, celebre autore di guide turistiche.

Gli scettici sul valore dei viaggi erano, probabilmente, solo dei turisti nel profondo del cuore. Orazio, in genere assai perspicace, brontolava: “Chi attraversa il mare cambia clima, ma non la propria anima”. Osservazione falsa se applicata ai veri viaggiatori, ma che può essere appropriata se riferita al turista. Anche il filosofo statunitense Ralph. W. Emerson la pensava come Orazio:”I viaggi sono il paradiso degli stupidi; quando facciamo il nostro prima viaggio ci rendiamo conto che il luogo non conta nulla”. Questo commento è sorprendente se si pensa a quanto lo stesso autore avesse imparato viaggiando.

Negli anni ’80 del XVIII secolo, mentre viaggiava in Europa, Thomas Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti, arrivò a due conclusioni: 1) è meglio viaggiare da soli, perché in tal modo si riflette di più su ciò che si vede, e 2) i viaggi rendono l’uomo più saggio ma meno felice. Goethe, il suo grande contemporaneo, la pensava in modo opposto. Secondo lui un compagno di viaggio congeniale è un altro paio di occhi, un’altra sensibilità, un altro magazzino d’informazioni preziose per interpretare ciò in cui ci si imbatte. La solitudine può rendere la presenza del proprio sé troppo incombente: Seneca aveva ragione quando affermava che, per quanto lontani ci si spinga, è solo per rincontrare noi stessi, alla fine del viaggio. Con un compagno di viaggio, però, è possibile incontrare qualcosa di più di sé stessi: quindi si può essere felici proprio mentre si diventa più saggi e, addirittura, nonostante ciò.

Visti i tempi di crisi, per chi non potesse o volesse viaggiare fisicamente per mete incerte, ma al contempo non volesse neppure restarsene qui invischiato tra i venti tempestosi del partito, v’è pur sempre la possibilità di godersi un “tour” interiore leggendo ad esempio “Il diario di viaggio di un filosofo- Cina, Giappone America” dell’estone Hermann Keyserling (1880-1946; fondatore a Darmstadt della “Scuola della Saggezza”). Impressionante l’attualità di alcuni passaggi di questo libro scritto esattamente 90 anni fa. Costatando, nel parco di Yellowstone, la riduzione consistente del numero di bisonti sopravvissuti e il confino dei pellirossa in riserve, l’autore freme di sdegno: “Come si impoverisce il mondo a causa nostra! E’ tremendo che la terra divenga di giorno in giorno più uniforme (ndr. l’autore teme ciò che la globalizzazione e il consumismo hanno poi realizzato), poiché in tal caso non si ha affatto una trasformazione di energia disponibile, ma una perdita assoluta dato che ciò che va perduto (ndr. specie animali, vegetali e umane) non può essere rinnovato. La vita non è trasformabile nello stesso senso in cui lo è l’elettricità. Ogni tipo è qualcosa di unico e irripetibile. Il mondo diventa ogni giorno più povero. Che sia questo il vero senso del Progresso? Il moderno uomo bianco gioisce coscientemente della natura più di qualsiasi altro uomo, ed è interessato più profondamente di chiunque altro alla peculiarità di ciò che gli è estraneo, eppure ciò che egli non è – o di cui non ha bisogno- finisce irrimediabilmente per estinguersi, qualsiasi cosa egli faccia”. Il personaggio di Corto Maltese, altro viaggiatore di quegli anni (attorno al 1919), avrebbe condiviso quello sdegno.