Elogio della sconfitta

Novembre 2009 – Il GINNASTA

Ben altri calibri che non il sottoscritto, si sono cimentati in passato – vuoi per volontà di andare controcorrente, vuoi per gusto del paradosso e della sfida – nel tessere le lodi di concetti o qualità umane che nel senso comune sono considerate negative. Penso ad un Erasmo da Rotterdam che scrisse “L’Elogio della Pazzia“ o ad un Robert Musil, noto per il suo capolavoro “L’Uomo senza qualità“, il quale tenne un “Discorso sulla stupidità“ affermando che vi è anche una stupidità “intelligente“, “furba“. E allora perché non tentare di mettere sotto una luce positiva la Sconfitta? Invero nulla osta, ma forse la domanda è: perché farlo? Perché no. Tentar non nuoce e farlo qui, rivolto a un mondo di sportivi, può essere persino opportuno. L’idea m’è venuta perché, da un lato, il tema s’innesta in miei pensieri qua e là già almeno accennati su queste colonne e, dall’altro, alcuni piccoli fatti che ho constatato più di recente, a vari livelli, in seno all’ACTG o tra società affiliate, tra qualche allenatore e genitore o tra qualche tecnico e amministrativo, m’è parso di percepire qualche scaramuccia, dissapore, delusione o disappunto per “essere o non essere” (questo è il problema), giunto al podio o scelto, selezionato, nominato (per dirla secondo il “Grande Fratello”). Trovo sia peccato perché il Fair-Play non deve mancare neppure fuori dal campo di gara. Noterete che ho tralasciato ginnasti e ginnaste: questo perché spesso non sono loro la fonte di tali problemi ed è anche giusto ch’essi (tanto a livello di élite che di sport di massa) abbiano un certo spirito competitivo, come è giusto che gli si mostri la via per gestire al meglio le sconfitte.

Ma entriamo in tema partendo da una frase di Michel De Montaigne il quale scrisse che “alcune sconfitte sono più trionfali delle vittorie”.

A prima vista, sconfitta e vittoria potrebbero sembrare il diritto e il rovescio della stessa medaglia, ciascuno dei quali acquista significato solo grazie all’esistenza dell’altro.

Sebbene spesso sia effettivamente così, questa non è tuttavia la regola. Esistono sconfitte cui non corrisponde nessuna vittoria (e viceversa), cosi come esistono sconfitte che sono vittorie (e viceversa).

E’ importante distinguere questi casi perché altrimenti si rischia di pensare che nella propria vita le sconfitte siano eccessivamente frequenti rispetto alle vittorie, il che è vero solo di rado.

I membri di truppe o di compagini sportive vanno di sicuro incontro a un crollo della motivazione quando si sentono sconfitti.

Antoine De Saint-Exupéry, noto per aver scritto “Il piccolo principe”, colse bene il loro stato d’animo quando scrisse che la sconfitta è una questione di stanchezza, incoerenza, noia e soprattutto futilità. La sensazione descritta da De Saint-Exupéry può essere prodotta praticamente da qualsiasi sconfitta, salvo che da quella gloriosa. Un personaggio si Sofocle dichiarava di preferire un fallimento onorevole a una vittoria disonesta. Moltissime persone riflessive hanno capito e scritto che le delusioni più profonde vengono dalle quasi-vittorie: tentare e perdere per un soffio è una realtà più difficile da sopportare della consapevolezza che, tutto sommato, sarebbe stato meglio non provare affatto.

D’altra parte, quando uno sa di essere un lottatore o in genere uno sportivo, sa anche che esistono molti tipi di vittoria, e che i più istruttivi sono proprio queste quasi-sconfitte.

La nostra personalità prende vita da ciò che noi aspiriamo ad essere e a nobilitarla sono non solo i successi ma anche i tentativi.

L’idea di sconfitte positive – quelle in cui s’impara o si dona qualcosa, oppure quelle in cui si fa un passo indietro per dare spazio al migliore – è un concetto importante.

Il filosofo Spinoza scrisse che le menti non sono mai conquistate dalle armi, ma solo dalla magnanimità e dall’amore: lasciarsi conquistare da queste cose è di per sé una grande vittoria, perché implica sensibilità e reattività a ciò che è migliore. Altre sconfitte vittoriose si hanno quando riconosciamo che un particolare ragionamento è sensato e lo accettiamo, oppure quando capiamo che le tesi di un avversario sono giuste e cediamo loro il passo.

La sconfitta è sempre un’opportunità, anche quando, come purtroppo spesso accade, la posizione migliore è sopraffatta dalla peggiore. In questi casi è molto difficile sopportare il senso di fallimento. Ciò accade, ad esempio, nel caso di sconfitte causate dalla naturale ingiustizia dell’universo, ingiustizia che ci priva di meravigliose opportunità sferrando colpi irreversibili che poco o nulla hanno a che fare con i nostri forzi personali: basti pensare a sconfitte come una malattia o una grave perdita o ancora un disastro economico.

Ma al mondo nulla accade senza offrire in cambio una lezione o senza aprire alternative per il futuro. Lì per lì può essere difficile vedere insegnamenti e alternative ed è proprio qui che entra in gioco la pazienza.

  1. H. Huxley amava dire ai suoi studenti di medicina che “incappare in qualche fallimento comporta grandissimi benefici pratici”, e lo diceva parlando di una professione in cui, letteralmente, gli errori finiscono sotto terra. E, comunque, aveva ragione. Ci vuole solo coraggio, o forse buon senso, per capire che le lezioni migliori sono di solito le più dure; e che spesso fra queste ultime c’é la sconfitta. A loro volta, queste riflessioni inducono a pensare che l’unico vero fallimento stia, in realtà, nel permettere alla sconfitta di avere la meglio su di noi.

In fondo, il buon Confucio – ora riconsiderato anche nella Cina post-maoista delle ultime Olimpiadi di Pechino – aveva sempre sostenuto di apprezzare nell’essere umano tutte quelle qualità “del giusto mezzo”. Quindi tra un’eccessiva ambizione di vittoria e volontà di sopraffare gli altri ed una troppo profonda delusione e demotivazione per una qualche sconfitta, vi sarà pure una “giusta via di mezzo” da prediligere e incentivare soprattutto all’interno di una famiglia quale è la Ginnastica.

Avv. Matteo Quadranti, Presidente ACTG