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21 novembre 2002 – Opinione Liberale
In una recente visita al Museo d’Arte Moderna di Lugano per la mostra “Passioni d’arte – da Picasso a Warhol” mi ha colpito, oltre alle molte e belle opere esposte, il titolo di un quadro di Giorgio De Chirico. In questo autoritratto l’artista si pone la domanda a cui non da evidentemente risposta: “e cosa amerò se non l’enigma?”
L’accostamento della domanda e di un ritratto di persona mi pare azzeccata come a volersi interrogare, oltre che su quell’enigma che è costituito dal mistero di definire l’arte e la bellezza, sul quel rompicapo (l’enigma appunto) che è il mistero dell’uomo, della comprensione dei suoi pensieri, delle sue motivazioni e dei suoi sentimenti. Mi rendo conto che il discorso può essere di difficile comprensione, ma questa, ancora una volta, scopro che è un’altra definizione di “enigma”. Strane coincidenze.
Tra filosofi e uomini politici liberali del ‘900 italiano che hanno cercato in un qualche modo di dare delle risposte all’arcano dell’animo umano, credo di poter inserire Benedetto Croce di cui il PLRT ha commemorato di recente il 50° della scomparsa.
Per Croce la sede della libertà sta nella mente umana, in quello ch’egli chiama “l’animo libero”. Nella sua filosofia dello spirito si individuano quattro discipline che corrispondono a quattro forme che debbono compenetrarsi in modo coerente: la teoretica come ricerca del vero; l’estetica come ricerca del bello; l’etica come ricerca del bene e infine l’economia come ricerca dell’utile.
Croce, da buon liberale e storico, è uomo pragmatico e non manca di sottolineare che “è tipico dell’uomo commettere il male e insieme combatterlo; che l’imperfezione – degli individui come delle istituzioni – è la molla stessa che spinge a creare il nuovo, a superare la condizione data e a manifestare così la libertà che ci costituisce; che l’umanità è mescolanza di bene e di male, di universale e di individuale, e che il raggiungimento di qualsiasi utopia [ndr. leggasi utopia dei regimi totalitari, comunisti, ma anche del liberismo puro] sarebbe, con la fine della libertà e della storia, la fine dell’umanità” (cfr. Franco Zambelloni, La filosofia di un uomo libero, Opinione liberale, 24.10.2002).
Nella stessa linea di pensiero si inserisce Sergio Romano quando in un’ intervista rilasciata al Corriere del Ticino dell’8 giugno 2002 afferma di ritenersi un conservatore liberale in contrapposizione al liberale di sinistra poiché il conservatore liberale è generalmente scettico e prudente: “riconosce il valore universale dei principi di libertà, ma non crede che tutti gli uomini possano farne ugualmente buon uso …crede che tutti gli uomini siano stati creati uguali, ma sa che essi si disporranno lungo la strada della vita secondo un’inevitabile gerarchia … diffida della democrazia perché contiene in sé il germe della tirannia democratica … riconosce l’utilità delle grandi riforme, ma sa che l’evoluzione sociale è un processo storico legato a fattori come la lenta accumulazione delle consuetudini culturali e la brusca rottura con il passato … è convinto che la realtà riserva più sorprese di quante l’intelligenza umana non riesca a immaginare e che la vita è un sentiero stretto fra irrefrenabili interessi dei singoli e la brutalità delle masse”.
Nell’attualità anche più recente si sprecano gli esempi di tale incomprensibilità – enigmatica – dell’animo umano, di tale incapacità di fare buon uso dei principi di libertà, tolleranza e rispetto.
Basti pensare, senza pretesa di esaustività, agli effetti distorti e perversi di un uso “dittatoriale”, da un profilo sostanziale, di una maggioranza parlamentare, seppur in un contesto formalmente legalizzato (la situazione attuale nella vicina penisola ci mostra il pericolo).
Si vedano i crescenti casi di corruzione e di malversazione in seno a istituzioni statali e parastatali, laddove è venuta meno una scala di valori così come, di pari passo, la stessa scala di valori è venuta a mancare nei vertici dell’economia privata dove l’avidità e la mancanza di rispetto verso il bene di aziende anche storiche e solide hanno indotto managers senza scrupoli ad accumulare vantaggi personali a discapito di azionisti, dipendenti e risparmiatori.
Si vedano infine le difficoltà di raggiungere risultati concreti, sostanziali e attuabili a protezione dell’ambiente malgrado siano sotto gli occhi di tutti il degrado dell’ecosistema, del terzo mondo (molto legato alle materie prime) e la crescente attenzione per tali problematiche da parte delle generazioni più giovani.
Se alle illusioni fascista e comunista ha fatto seguito ora l’illusione liberista – anch’essa fallendo -; se un rimprovero va mosso sia al mondo economico come a quello politico che si è lasciato prevaricare per mancanza di lungimiranza; se l’animo umano è tale per cui ha nella sua natura la capacità di commettere il male, di far prevalere interessi individuali a interessi generali, allora in quale futuro migliore possiamo legittimamente sperare?
Per quanto sconsolante possa apparire ad animi facili, non credo che le soluzioni siano da ricercare ancora in vecchie o nuove utopie bensì, come insegnano tra altri Croce e Romano, esse vanno trovate nell’enigma che ha consentito sino ad ora di non auto-distruggerci. Ovvero nel pragmatismo della filosofia liberale, la quale pur nella consapevolezza della “imperfezione degli individui, è la molla stessa che spinge a creare il nuovo, a superare la condizione data e a manifestare così la libertà che ci costituisce”.
Il dibattito sulla necessità di un recupero dei valori morali è lanciato. L’augurio è che chi sarà chiamato ad assumere in futuro ruoli di rilievo per il bene economico e politico generale abbia ben chiaro che l’onestà è la condizione indispensabile della politica, sia questa di un’azienda o dello Stato. Se è inevitabile che altri errori potranno essere commessi, si tratta da un lato di non ripetere i medesimi e dall’altro di essere più lungimiranti per reagire più rapidamente.
Se non amassi questo enigma mi parrebbe di rinunciare a vivere.