Democrazia in valigia

10 luglio 2008 – Opinione Liberale Rubrica Ballate Maltesi

Di frequente, con l’avvicinarsi dell’estate, alcuni importanti giornali formulano consigli su quali libri portarsi in valigia prima di “espatriare” versi altri lidi esotici o meno. OL essendo un settimanale politico, i consigli che seguono sono rivolti a chi, anche in vacanza, non può proprio farne a meno di pensare a qualche tema di cultura politica. Quando si viaggia, poi, si porta con se anche il proprio bagaglio culturale e, chi più chi meno, si cerca di comprendere/incontrare le culture del Paese ospitante. Quindi niente di meglio che qualche libro sul tema d’attualità: la democrazia è esportabile? Il fatto che, nel 2005, 119 su 190 Stati si “professano” democratici mentre, nel 1900, solo una decina lo erano, è sufficiente a fornire una risposta affermativa? All’evidenza no! Due studiosi americani (Diamond e Mandelbaum ) – e forse per questo più propensi a voler considerare la democrazia (in seguito solo: D.) occidentale esportabile – e un professore universitario come Giovanni Sartori – che negli Stati Uniti insegna da anni, ma mantiene in quanto europeo il giusto distacco dalla politica governativa di Bush – hanno pubblicato di recente dei libri che affrontano il tema in oggetto. Secondo i primi, la D. di tipo occidentale sarebbe “felicemente” estendibile a tutti i Paesi “una volta superati gli ostacoli economici, culturali o religiosi” (e vi pare poco?). Ciò sarebbe dimostrato dal fatto ad esempio che la D. gode di “buona stampa” in molte opinioni pubbliche ancora sottoposte a regimi autoritari; che in un Paese come l’India la D. resiste (malgrado tutto); che essa non è vero che vada bene solo per i Paesi ricchi o in via di arricchimento, come lo dimostrerebbe il caso della Russia di oggi, …La D. essendo un mix tra libertà e sovranità popolare (evitando tuttavia di cadere nella “dittatura della maggioranza”), importanti sarebbero le Istituzioni e il nesso con il libero mercato. Per questi autori sarebbe quindi ragionevole che la Cina si democratizzi visto che il suo mercato sta dilagando e creerà a breve una classe media diffusa che reclamerà, pare già entro il 2015, un regime più equo e trasparente.

Per Sartori, invece, essa sarebbe esportabile, ma non sempre e ovunque. Sartori, al proposito, entra in accesa polemica con un testo del premio Nobel dell’Economia, l’indiano Amartya Sen, il quale sostiene che l’occidentale sarebbe presuntuoso pensando di essere l’inventore della D., la quale, essendo soprattutto “discussione pubblica”, invece, sarebbe nata un po’ ovunque poiché questa “discussione” la si ritrova in antiche tradizioni di Paesi come India, Cina, Iran, nel mondo arabo e in molte regioni africane (forse, per citarne uno tra molti, il “padrone” dello Zimbabwe è stato colto da perdita della “memoria” tradizionale negli ultimi 30 anni, mah!). La realtà è che la prima discussione pubblica istituzionalizzata come deliberazione avviene nell’Atene del V-III secolo a.C. Anche l’idea che lo “sviluppo” sia “libertà” non è condivisa del tutto da Sartori, il quale sottolinea come molte civiltà si siano sviluppate senza nessun tipo di libertà: per es., le civiltà del Centro America o quelle Egizie dei Faraoni, la Cina del XV secolo che era più sviluppata dell’occidente ma senza libertà di sorta . La D. non è neppure automaticamente “causa” di crescita: per Sartori ciò è dimostrato dalle crescite recenti di Russia e Cina dove semmai si hanno delle oligarchie. La componente liberale della liberaldemocrazia occidentale ne è una condizione necessaria, mentre la componente democratica è l’elemento variabile ( può esserci o no). La liberaldemocrazia per Sartori è: 1. Demo-protezione (protezione del popolo dal tiranno) la quale è la struttura costituzionale della D. che per prima deve essere esportata (essendo anche la più facile) ; 2. Demo-potere, ovvero l’attribuzione al popolo di quote, anche crescenti, di effettivo esercizio del potere. Questa però presuppone l’esistenza della demo-protezione. La letteratura in materia cita 3 esempi in cui la D. fu esportata con la forza negli ultimi 60 anni: Italia, Germania e Giappone post seconda Guerra mondiale. Nei primi due Paesi però non si fece che ritornare a delle D. che di fatto già esistevano prima dei regimi nazi-fascisti. Il Giappone invece, dopo la fine dell’occupazione americana, cambiò molte cose ma mantenne con successo, in un contesto culturale eterogeneo, la Costituzione democratica impostagli dal generale MacArthur. L’India, stranamente non citata dalla letteratura, a differenza del Giappone, ha presentato problemi più difficili a causa della presenza di 3 religioni. Quella più importante, l’Induismo, che dà l’identità nazionale (nazionalista), non è una religione placida ma è almeno politeista e sincretistica e quindi può accettare la D.. Il Buddismo, meditativo, non pone problemi. L’Islam monoteistico non ha reso possibile l’integrazione di questa componente tant’è che quando gli inglesi lasciarono il Paese dovettero smembrarlo creando il Pakistan e il Bangladesh islamici. Per concludere, sull’esportabilità della D. nel mondo musulmano, segnalo il libro di Sergio Romano – che meriterebbe più spazio – per dire che, ad eccezione della Turchia, l’ex diplomatico italiano ritiene che, invece di guerre percepite come tentativi di neocolonialismo, l’Occidente dovrebbe restare alla finestra e vedere di esportare i valori liberali che consentano la costruzione di una nuova classe borghese dirigente e di un’economia di mercato, nonché la formazione del cittadino (ora suddito).

In alternativa, un bel libro di Andrea Camilleri o Wilbur Smith non guasta di certo.

BIBLIOGRAFIA:

Larry Diamond, “The Spirit of Democracy-The Struggle to Build Free Societies Throughout the World”, Times Books, New York; l’autore è ricercatore alla Università di Stanford.

Michael Mandelbaum, “Democracy’s Good name –The Rise and Risks of the World most Popular Form of Governement”, Public Affairs, New York; l’autore è ricercatore alla Università John Hopkins.

Giovanni Sartori, “La democrazia in trenta lezioni”, Mondadori, Milano; Professore all’ Università di Firenze e alla Columbia University di New York.

Qui mi permetto indicare invece un romanzo tanto accattivante quanto dotto e storico, di Isaia Iannaccone, “L’amico di Galileo”, Mondadori che descrive il XV secolo tra fioritura scientifica nell’Impero Celeste e Inquisizione oscurantista in Europa.

Sergio Romano, “Con gli occhi dell’Islam. Mezzo secolo di storia in una prospettiva mediorientale”, Longanesi