Democratico stato, come andiamo?

26 Marzo 2010 – Corriere del Ticino

“È necessario porre l’interesse dello Stato al di sopra di tutti gli altri, perché lo Stato sia governato bene, e non cercare continui pretesti per andare contro l’equità né permettersi di tentare sopraffazioni contro il bene comune. Perché lo Stato ben governato è il più grande presidio, e quando vi è questo vi è tutto, e se questo è salvo tutto è salvo, e se questo perisce tutto perisce” (Democrito di Abdera, V sec. a.C.). Anche Epicuro aveva espresso il desiderio di uno Stato fondato su un “contratto” scaturito sul mutuo consenso. La nostra forma di Stato e di governo è la democrazia. Cosa stiamo facendo per recuperare questo “mutuo consenso”? Vogliamo continuare a estremizzare il dialogo, fare della politica sbeffeggiatrice? E di che salute gode questa nostra democrazia? Pare ormai certo che, se lo Stato è per taluni “un male”, questo è per tutti riconosciuto almeno come “necessario”. È altresì certo che la Democrazia è in fin dei conti la miglior macchina che siamo riusciti a costruire (un lavoro durato almeno 2000 anni) per consentire all’uomo di essere libero e di non essere sottoposto alla volontà arbitraria e tirannica di altri uomini (o poteri), per consentirgli di trovare delle regole (giuste ed eque) di convivenza civile e rispettosa dello spazio e delle risorse limitate di cui dispone, il tutto nell’interesse del bene comune. Se, come scrive Giovanni Sartori, diviene sempre più difficile resistere alla democrazia, saprà la democrazia resistere a se stessa? La democrazia è in pericolo insomma? Contrariamente a quanto si possa pensare, la risposta rischia di essere: sì, a lunga scadenza, se non ci si preoccupa di adottare qualche correttivo alla situazione attuale. Partiamo dai macchinisti della democrazia: i cittadini e le cittadine ai quali incombe di riprendere in mano gli attrezzi del mestiere. Il giudizio su quest’ultimi, che Ortega y Gasset dava già nel 1930, era impietoso. Egli intravvedeva l’insorgere del tipo umano del “bambino viziato” e irriconoscente che si aspetta dei diritti-spettanze, ritenendosi creditore di “dovuti” (individualistici), ma dimenticando l’altra faccia della medaglia, ovvero i doveri. Almeno quelli di riconoscenza per quanto ricevuto in eredità, come ad esempio i diritti e doveri politici (tra cui quelli di andare a votare, di partecipare, di mettersi a disposizione per assumere cariche politiche,…), l’ambiente, la libertà ma anche l’equità che è pure solidarietà. Ai molti privilegi medievali corrispondevano altrettanti obblighi. Nell’età moderna, volendo meno ”grandi privilegi” per pochi, bisogna che tutti si rimbocchino le maniche anche sul fronte dei doveri. La democrazia resta comunque un’apertura di credito all’homo sapiens, ma se quest’ultimo è in pericolo, la democrazia è in pericolo. McLuhan, nel 1964, diceva che i mass media producono il villaggio globalizzato. Oggi si può osare affermare che i mass media producono, all’inverso, un mondo “villaggificato” (Sartori, 1993) laddove si punta alla semplificazione, all’eccitazione e al triviale spettacolo al quale assistiamo quasi quotidianamente. Perdiamo di vista il fondo, restando a rimirar la superficie (fossero almeno le stelle del Paradiso di Dante Alighieri!). Il cittadino dovrebbe tornare ad esigere e pretendere la qualità e l’approfondimento oggettivo delle informazioni che riceve, sanzionando chi di contro mira allo spettacolo, al sensazionalismo, all’audience o alla tiratura. Una partecipazione reale e attiva alla vita politica, guidata da una informazione libera e trasparente, può dare sostanza a un liberalismo-democratico che si cura innanzitutto di formare individui non manipolabili e capaci di pensare da sé. Una buona notizia comunque c’è ed è quella che la fine delle ideologie consente di “ripensare” davvero, in modo libero. Di pensare senza paura di pensare, combattendo così populismo e demagogie, che non troverebbero terra fertile sulla quale continuare a crescere. Tra i grandi filosofi del ‘900, dovremmo riscoprire John Dewey che fu l’unico a sviluppare un sapere critico da mettere direttamente nelle mani del cittadino per educarli a un controllo reale. Dewey suggerì provocatoriamente di istituire “un ministero del Disturbo, una fonte istituzionale di scompiglio, uno scardinatore del tran tran e del compiacimento”. Egli sosteneva che la democrazia, insieme alla scienza, con la quale condivide alcuni valori di fondo, sono state i veri motori di un’intelligenza mobile e antidogmatica. La scienza arrischia però di addormentarsi nell’autocompiacimento burocratico inaridendosi il pensiero critico. La democrazia, al pari, non si esaurisce nel momento del voto, ma deve costituire un insieme di procedure che mettano il cittadino nelle condizioni di affrontare e comprendere direttamente i problemi che li riguardano. La scienza è ricerca e non un impossessarsi dell’immutabile. La stessa riflessione va rivolta alle istituzioni politiche e partitiche, le quali non dovrebbero limitarsi ad una visione meramente formale della democrazia, bensì aprirsi al metodo sperimentale, ad un approccio trasversale, come appunto avviene nella scienza tra le diverse discipline. Il pessimismo dell’intelligenza va combattuto da un ottimismo della volontà.

Per queste e altre ragioni, credo vi sia bisogno di parlare, e molto, di democrazia, ripercorrendone la storia e i valori. Una democrazia mal capita è una democrazia mal messa.

Avv. Matteo Quadranti, cofondatore di Incontro democratico