Caduta del Muro

13 novembre 2009 – Opinione Liberale Rubrica Ballate Maltesi

 Dall’uomo comunista a quello populista

 C’era una volta, 20 anni orsono, un mondo diviso sostanzialmente in due blocchi, quello comunista (Est, “Impero del Male”) e quello delle democrazie liberali (Ovest, “Impero del Bene”). Ma a Est e a Ovest di che? Del Muro, quello di Berlino: un confine politico ma geograficamente e umanamente del tutto arbitrario, come molti altri muri che a tutt’oggi sussistono nel mondo in attesa che cadano. Correva l’anno 1989 quando, ad aprile Solidarnosc era stato legalizzato in Polonia; a maggio un milione di studenti presidiava Piazza Tienanmen; ad agosto l’Ungheria incominciava a smontare la cortina di ferro. Novembre fu senza tregua: caduto il Muro a Berlino, Rivoluzione di Velluto a Praga, crollo del regime in Bulgaria. L’anno si sarebbe chiuso il 27 dicembre in Romania con l’unica fine cruenta di un regime sovietico. Ormai nessuno si aspettava o temeva che l’URSS avrebbe mandato i carri armati a ristabilire l’ordine socialista. L’Armata Rossa, sempre a febbraio di quell’anno aveva concluso il ritiro dalla fallimentare impresa in Afghanistan ed era lacera, senza denaro, armi moderne né morale in seno alle proprie truppe. Dovette lasciar perdere l’Europa sovietizzata per salvare almeno, geograficamente, l’Unione sovietica. Che il 1989 sia passato, in questi due decenni, alla storia come l’anno da favola in cui l’Occidente democratico vinceva sull’Oriente comunista, è indubitabile. Oggi però traspare sempre più che una tale lettura dei fatti è stata esagerata e superficiale. Il comunismo è morto di comunismo. A Mosca ormai nulla funzionava più per intero: mancava merce nei negozi, la sproporzione del cambio fra il rublo ufficiale e quello in nero era di 1 a 10’000, …Insomma era l’atto conclusivo di un fallimento: forse prima economico che politico, comunque totale . Né Perestroika né Glasnost poterono mutare le cose, anzi! Se il Comunismo s’è suicidato (tant`è che pure la Cina di oggi ha comunque aperto ad una sua forma di capitalismo, ben più incisiva sulla vita quotidiana degli europei per rapporto a quella della vecchia Urss), è giusto dire che le democrazie liberali hanno vinto? Per alcuni commentatori , nell’euforia di quella svolta s’è messa la sordina alle “promesse non mantenute della democrazia”, la quale è divenuta priva di aspirazioni, cadendo anch’essa, ma in questo caso, preda del populismo. A quanto emergerebbe, la democrazia ha sempre oscillato tra la rassegnazione nei confronti della mediocrità degli esseri umani e la fede nella loro perfettibilità. Essa vive, anzi, della tensione tra la modestia delle sue pretese, che la porta ad accettare gli individui per quello che sono, e la volontà di renderli migliori. Quali le cause del malessere che porta molti a cercare altrove le risposte alle esigenze che la democrazia non riesce più a soddisfare? Ne sono state individuate almeno quattro: 1. il rinnovato affidarsi alle religioni; 2. l’inedito intreccio tra individualismo e solidarietà; 3. la crisi del capitalismo di mercato privo di vincoli e il mutato atteggiamento verso la ricchezza; 4. la deriva verso il populismo. Per ragioni di spazio, mi limiterò a quest’ultimo aspetto. Il libero mercato si fonda sull’uomo mediocre, il consumatore di massa. Il Populismo è un ‘apparente promessa di solidarietà tra diverse classi sociali in cui ciascuno può realizzare i suoi sogni. Esso è anche un concetto camaleontico, che implica talvolta la stessa denigrazione delle masse, ma che rinvia ormai a una concezione in cui il popolo si configura come entità omogenea e indivisa, composta da uomini ordinari , ma guidati da un capo straordinario le cui gesta vengono spettacolarizzate, i cui collaboratori politici hanno qualità civiche posticce e l’infantilizzazione del pubblico (televisivo soprattutto) fa sì che i politici diventino prim’attori (seppur talvolta d’operetta) e i cittadini mere comparse. Le catene del potere possono essere anche di seta, intessute di seduzione e di oblio delle responsabilità (Hannah Arendt). Il filosofo e storico Remo Bodei, per contrastare la fuga dalla politica e quindi evitare la deriva della democrazia verso il populismo, suggerisce di passare comunque attraverso (a) le aspirazioni dei cittadini (come il bisogno d’identità e di speranze, che il populismo a suo modo soddisfa, o di eguaglianza non disgiunta dal merito) e (b) la messa in opera di contrappesi alla concentrazione dei poteri nelle mani dell’esecutivo, il quale in una democrazia non partecipata e debole, arrischia di diventare pericoloso, come la storia insegna. Vogliamo tornare ai valori del vero liberalismo democratico? Allora cominciamo a far qualcosa per toglierci di mezzo questo populismo, anche al nostro interno.

Enzo Bettiza, “1989. La fine del Novecento”, Mondadori

Cfr atti del Convegno sul “Destino della democrazia” tenutosi a Napoli il 21 maggio 2009

Per chi volesse degli esempi romanzati dell’uomo privo d’interessi: Robert Musil, “L’uomo senza qualità”, o Italo Svevo, “La coscienza di Zeno”.