BRUCIA, LA LETTURA

“Il Ticino non è un Paese per lettori” titolava un articolo su questo giornale. Leggiamo poco. Consola sapere che almeno i pochi appassionati siano buoni lettori. Leggere arricchisce e allarga le vite. Le prossime “Notti del racconto” sono il pretesto per qualche riflessione.

Leggere, quasi più che scrivere, ha sempre spaventato chi volesse controllare le masse. Lo stesso Kant partiva da un dispositivo del leggere e dello scrivere come fondamento della maggiore età, ovvero dell’età della maturità, dell’indipendenza, del distacco dal potere genitoriale. Le nuove tecniche di psicopotere invece preferiscono conservarci minorenni, controllabili, punibili, mandati a giocare mentre altrove si decide di noi (cfr. Byung-Chul Han, Psicopolitica, ed. Nottetempo, 2016). In questo la televisione, i media digitali e sociali sono senz’altro ben più utili ai poteri.

La lingua immaginaria nello stato di sorveglianza orwelliana (“1984”), detta “neolingua”, deve sostituire la “archeolingua” per limitare lo spazio di pensiero. Anno dopo anno le parole vengono diminuite così che si riduce anche la libertà del pensiero mancando le parole per pensarlo ed esprimerlo, scriverlo e leggerlo. Così si arriva a rendere impossibili anche i reati di pensiero. La (auto-)censura è utile ai poteri.

Il rogo dei libri – quale quello di Alessandria d’Egitto, di Savonarola nella Firenze del 1497, quelli dell’Inquisizione e dei nazisti nonché di recente quello della grande biblioteca di Mossul ad opera dell’Isis – hanno ispirato alcuni romanzi. Tra essi quello distopico “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury (1951) di cui sono stato omaggiato da una giovane studentessa (ciò che lascia bene sperare nella prossima generazione). Montag, il protagonista del libro, fa il pompiere in un mondo in cui ai pompieri non è chiesto di spegnere gli incendi, ma di accenderli: armati di lanciafiamme, fanno irruzione nelle case dei sovversivi che conservano libri e li bruciano. Così vuole la legge e il potere di cui i pompieri sono strumento. Alla temperatura di 451 gradi fahrenheit la carta brucia. Il fuoco pulisce, anche le coscienze e le conoscenze. Non vuoi che qualcuno sia politicamente scontento, non fargli sapere o capire che la questione ha due aspetti: digliene solo uno, non si preoccuperà, meglio ancora, non dirgli niente. Fagli dimenticare il punto in questione. Dai alla gente concorsi a premi, reality show. Riempila di informazioni innocue, rimpinzala di fatti e si sentirà intelligente solo perché sa le cose senza doverle interpretare, comprendere, liberamente criticare e magari contestare.

Bradbury fu anticipatore. La società odierna dell’informazione è caratterizzata non dall’azzeramento ma dall’incremento delle parole. Fatto sta che anche il troppo storpia, distrae, confonde chi non è abituato a scernere, leggere, riassumere, comprendere un testo. Non si è in grado di pensare se non si è capaci di parlare e scrivere con chiarezza. Le società vengono costruite e si reggono su una premessa linguistica, parte del contratto sociale, in base al quale ho il dovere di scrivere e pronunciare parole vere e fare in modo che le stesse vengano lette e comprese. È un compito del politico e del legislatore. La democrazia, come la legge, è fatta di parole precise e non ammette ignoranza.

Il numero 2/2016 del periodico della Divisione della scuola del DECS “Scuola Ticinese” è dedicato, consci della problematica, al “leggere”: per essere liberi, per riflettere e riflettersi, per comprendere la realtà, per far uso di una scoperta, di un diritto (che non hanno i poveri, gli oppressi e gli schiavi), di una potenzialità per sé stessi (basti pensare al potere di Papi e Monarchi di raccontarci quel che faceva comodo prima che si scoprisse la stampa e si diffondesse l’alfabetizzazione). Il Sole24Ore segnala il problema e lancia l’allarme con un inserto domenicale dal titolo “C’è qualcuno che sa leggere?”. S’impongono iniziative in questo senso perché l’umanità è in crisi tanto quanto l’economia. Leggere e condividere letture è ad esempio un fatto di integrazione, condivisione e comprensione reciproca, anche dell’altro che non per forza già sta alle nostre porte e di cui abbiamo paura. Una paura indotta, riempita di parole confuse che non vogliono lasciare spazio al ragionamento sull’altra faccia della medaglia. Una paura vergognosa, che pone l’indignazione sotto terra, come la testa dello struzzo, mentre dovremmo imparare a leggere il mondo là fuori. Foss’anche per calcolo di nuovo egoistico e opportunistico.