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20 settembre 2007 – Opinione liberale
per Rubrica “Ballate maltesi”
La scuola è iniziata. Qualcuno pare tirare un respiro di sollievo.
1) Le istituzioni hanno predisposto degli accorgimenti alla crescita, seppur limitata da noi, della violenza che non potevano non destare preoccupazione soprattutto in questa società globalizzata dove tra le molte tendenze positive si importano rapidamente anche quelle negative. La gestione dei “casi difficili” avverrà se del caso coll’allontanamento dell’allievo dalla comunità scolastica o la continuazione della scolarità in sede separata. Ma questo non basta. Il malessere giovanile non è risolvibile solo con misure all’interno della scuola ma richiede strategie in diversi altri settori (impiego, tempo libero, socialità) che peraltro non competono solo allo Stato.
2) I docenti potrebbero sentirsi sollevati poiché segnali di sostegno sono stati inviati dalle istituzioni. Ma questi debbono mantenere alta la motivazione e la propria preparazione per quanto attiene alla qualità dell’insegnamento ma anche per quel ruolo di antenna atta a captare, dal suo punto privilegiato, quei segnali di malessere, solitudine esistenziale, ricerca del senso della vita che gli allievi trasmettono talvolta in “basse frequenze”.
3) La famiglia e i nuclei monoparentali, sono pure sollevati in parte perché, vieppiù, fanno generica delega educativa alla scuola in una realtà sempre più critica e di difficile comprensione sociale, salvo poi, all’occasione, insorgere contro il singolo docente, la scuola, le istituzioni e i politici, per una mancata promozione, una sanzione disciplinare o assurgere a difensori del “pargolo” che si ritiene vittima di Mobbing, da parte del docente o dei compagni. Immagino quindi che anche verso le nuove direttive del DECS vi sarà qualcuno pronto ad insorgere quando sarà toccato da vicino. Ma lamentarsi non basta se questo fosse l’unico ruolo che il genitore dovesse ritenere di riservarsi delegando o ignorando invece, a torto o per comodità, i suoi altri doveri genitoriali. Claudio Magris, in un pungente e recente articolo, fa un “elogio del saper punire” partendo da alcuni episodi avvenuti nella scuola italiana laddove sulla stampa venivano “linciati” dei docenti per aver represso degli atteggiamenti di bullismo e indisciplina. Magris afferma che l’autentica educazione, quella che influisce su di noi, ha qualcosa in comune con la poesia: ci fa sentire il bene e il male, la dignità o la balordaggine del nostro comportamento. Se quindi si evitassero gli psicodrammi (col coinvolgimento di consigli d’istituto, sociologi, psicologi, ecc…) volti a scambiare per violenza persecutrice del docente, delle semplice sanzioni disciplinari, la scuola e gli allievi non avrebbero che da guadagnarne. In questo modo, sostiene Magris, si difende davvero il piacere di studiare che è il sale di una scuola sana: quella in cui gli alunni cercano di copiare e gli insegnanti d’impedirlo; in cui s’impara a rispettare il gioco delle parti, a vivere la solidarietà e ad amare lo studio, non più seriosa pedagogia ma avventurosa scoperta; in cui si impara ad accettare la sanzione se si esagera nel fare baracca.
4) Infine, a sentirsi sollevata dall’inizio della scuola è la società e gli adulti in genere, che assorbiti dai modelli e dai ritmi che ci vengono imposti dai Media, come ineluttabili, guardano freneticamente alla sola quotidianità. Quotidianità dell’immagine (oggi leggiamo le immagini, non i testi) laddove troneggiano i titoli a nove colonne con espressioni ad effetto e primeggia il virtuale (lo spettacolo, la comunicazione, le mille verità del web, ecc…); società dell’apparire, dell’omologazione mascherata in trasgressione, degli slogan banalizzanti, del benessere fondato solo sul consumo, della volgarità, del successo facile e senza sacrifici o qualità (spesso mediante scorciatoie che abbassano la soglia dell’illecito) poiché il difficile è considerato un disvalore e la formazione culturale una fatica. Il risultato di questa società è un profondo cambiamento antropologico dove i singoli non hanno altro fondamento che il loro informe “se stesso” quotidiano dove navigano (pare beatamente) senza fondamenta e assi di progressione nel tempo, malati di genericismo. Da qui la crescente “ignoranza” non solo dei giovani ma anche degli adulti malgrado tutti gli investimenti nella formazione che uno Stato possa mettere i campo ragionevolmente.
La progettazione di un futuro di valori alto è compito che spetta alla società tutta intera la quale deve interrogarsi su ciò che serve per risultare credibile alle generazioni future proponendo dei modelli e degli insegnamenti coerenti e “ad alto valore” reale. La società non può autoassolversi.
Le proprietà innovative di una democrazia dipendono dalla sua capacità di coinvolgere il maggior numero di soggetti (scuola, famiglia, media, giovani, società) nella gestione diretta dei problemi. Una partecipazione reale, guidata da una informazione libera e oggettiva, può dare sostanza a un liberalismo che si cura di formare individui non manipolabili e capaci di pensare da sé. Così educazione e politica si saldano anche in modo chiaro come sosteneva il filosofo liberale John Dewey a cui è stato dedicato un recente convegno sul tema “Ricostruire la democrazia”.
Che la scuola ci renda liberi. Ma non solo lei!