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Il Gran Consiglio, in data 22 marzo 2016, ha deciso a maggioranza (40 favorevoli, 29 contrari e 8 astenuti) di continuare ad impedire il suicidio assistito negli ospedali e nelle case anziani ticinesi. Non è possibile qui, per ragioni di spazio, entrare nel dettaglio di tutta una serie di affermazioni contenute nel Rapporto commissionale che nemmeno tanto velatamente sono contrarie allo Stato di diritto, ai principi di laicità dello Stato, di libertà personale, di diritto alla vita garantiti dalla nostra Costituzione federale e cantonale oltre che da sentenze delle Corti svizzere e del Consiglio d’Europa (che non è l’UE). Non entro nemmeno nel merito del fatto inconfutabile che anche il nostro Codice penale non punisce l’aiuto al suicidio a meno che sia praticato per scopi egoistici e contro la volontà dell’individuo. Pertanto a condizioni ben specifiche, l’aiuto al suicidio è da anni ammesso in Svizzera. Credo che di suicidio assistito se ne parli almeno da quando Svetonio riferiva del desiderio dell’imperatore Augusto di andare incontro a una morte serena e priva di sofferenza. Certo la medicina moderna si è messa in grado di controllare tempi e circostanze del morire. Le cosa sono cambiate. In meglio? Oggi possiamo fare molto per prolungare la vita di una persona, anche se si tratta di una vita che non promette più niente e che, secondo quella specifica persona, non vale la pena di essere ancora vissuta. Infatti è necessario distinguere vita da esistenza e inizio e fine della vita da inizio e fine dell’esistenza. Cambiano evidentemente i livelli di analisi. Vi è differenza tra “essere vivi” e “avere una vita da vivere” dotata di significato. Vi sono casi in cui chi è vivo in senso “biologico” non lo è, o non lo è più, in senso “biografico”. Se si tiene conto di quanto indicato poc’anzi, la vita non è di nessuno: stabilire a chi appartenga l’esistenza dipende dal punto di vista da cui le si attribuisce valore. Per comprensibile che possa apparire una certa visione cattolica secondo cui la vita non ci appartiene ma è di Dio, per modo che, malgrado la nostra volontà, dobbiamo comunque soffrire fino alla morte, resta il fatto che viviamo in uno Stato liberale e laico dove oggi possiamo anche decidere per tempo, ovvero quando siamo ancora in grado di intendere e volere, di dare delle direttive scritte, di fare un testamento biologico dove indicare se vorremo porre fine alla nostra esistenza ad esempio quando questa sarebbe vivibile solo grazie ad apparecchiature o a cure palliative (che in fondo sono una modalità medica di condurre comunque alla morte).
Indro Montanelli scriveva che “ il diritto alla morte è un diritto sacrosanto come il diritto alla vita e rivendico come sacro il mio diritto di scegliere il quando e il come. Non pretendo che lo Stato riconosca i miei principi, mi accontento che non li perseguiti, non lo ostacoli, nella pratica”. Da uomo laico, sono soprattutto interessato alla possibilità di essere libero di esistere, perché da questa discendono altre libertà, come quella di scegliere la mia morte, cioè la fine della mia esistenza personale. Certamente non è un caso che la pensi così: il problema fondamentale nella vita di un uomo laico è comunque e sempre la libertà, perché in fondo la laicità rappresenta l’atteggiamento intellettuale di chi considera primaria la libertà di coscienza intesa come libertà di credenza, conoscenza,critica e autocritica. Libertà di scelta individuale, non sottomessa alla tutela di dogmi altrui, così come non vincolante per chi la pensa altrettanto legittimamente in modo diverso. La scelta del modo e del momento di morire ha a che fare con la propria dignità, un valore assoluto e una ricchezza umana ed esistenziale irrinunciabile, qualcosa talmente personale da non ammettere critiche o invasioni di campo. Il concetto di dignità indica una nobiltà morale che ha diritto al massimo rispetto da parte di tutti, legislatori compresi. Mantenere in vita una persona contro la propria volontà e dignità è una suprema umiliazione. All’ente pubblico non si chiedeva affatto di farsi promotore del suicidio assistito, ma come auspicava Montanelli, almeno che non si creassero ostacoli consentendo all’individuo di poter morire nel luogo in cui ha verosimilmente trascorso gli ultimi giorni della sua esistenza, ovvero ospedale o casa anziani quando non è più possibile tornare al proprio precedente domicilio. Rivendico il mio diritto – dopo aver pagato per anni importanti premi di cassa malati, sostenuto spese mediche e pagato consistenti rette per case anziani, magari dilapidando o indebitando la mia sostanza a favore del sistema sanitario – a che quando lo deciderò io possa essere lasciato solo nella mia stanza, decidere di lasciarvi entrare solo le persone che avrò deciso liberamente, e avranno a loro volta accettato liberamente, di entrare per aiutarmi semmai ad ingerire una pozione che con la dignità di un imperatore augusto mi condurrà a una serena morte priva di altre sofferenze.
Matteo Quadranti, deputato PLR, segretario di Incontro democratico.