Una guida dei perplessi 

8 giugno 2012 – PROGRESSO SOCIALE- RIVISTA DEI SINDACATI INDIPENDENTI TICINESI

Ad uso dei giovani

“Non posso non temere che gli uomini giungano al punto di vedere ogni nuova teoria come un pericolo, ogni innovazione come un turbamento noioso, ogni progresso sociale come un passo verso una rivoluzione e che rifiutino interamente di muoversi”. Con questa frase di Alexis De Tocqueville, quale incipit, inizia il capitolo introduttivo di un libro che ho avuto l’onore di ricevere da un nostro ex senatore spesso ospite di questa rivista. Già solo per questo merita di essere suggerito l’acquisto, e la lettura, di “Guasto è il mondo” (edizioni Laterza, 2011), un libro di Tony Judt, uno dei più influenti intellettuali americani. Nella “dedica” fattami da chi mi ha omaggiato di questo libro si legge: “Tony Judt ha la straordinaria capacità di guardare in modo approfondito sia al passato che al futuro per invitare la politica, e noi tutti, a farci carico dei mali della nostra società e immaginare un modo migliore di vivere, capaci di conciliare libertà e solidarietà”. Mi permetto riassumere qui alcuni stralci del capitolo introduttivo che è già di per se illuminante. Un libro scritto e voluto per i giovani. Infatti negli ultimi trent’anni abbiamo trasformato in virtù il perseguimento dell’interesse materiale personale, apprendendo quanto costano le cose ma non quanto valgono. Per contro non ci chiediamo più se una sentenza o una legge sia buona, equa, giusta o tale da contribuire a rendere migliore la società o il mondo. Queste erano, per Judt, le domande politiche per eccellenza che ci si poneva un tempo. Il materialismo e l’egoismo non sono aspetti intrinsechi della condizione umana, ma sono per contro emersi solo a far tempo dagli anni Ottanta: l’ossessione per la ricchezza, il culto della privatizzazione, le disparità crescenti fra ricchi e poveri, il disprezzo per il settore pubblico e l’illusione di una crescita senza fine. Dal crac del 2008 bisognerà raccogliere non solo i cocci ma anche degli insegnamenti. Judt, professore universitario, con riferimento a suoi studenti nati nell’ultimo trentennio riferisce che il denominatore comune delle loro lamentele era che per le generazioni precedenti (almeno quelle dal dopoguerra in poi) era più facile perché quantomeno avevano ideali e idee (di destra o di sinistra, liberali o socialiste, capitaliste o anticapitaliste), credevano in qualcosa ed erano in grado di cambiare qualcosa, mentre che per queste generazioni più recenti non vi è niente. I giovani d’oggi comunque si sentono smarriti non per mancanza di obiettivi ma per l’angoscia del mondo che stiamo lasciando loro in eredità. L’autore introduce con una sintesi il distinguo tra liberale e socialdemocratico, partendo da una sua visione statunitense. Un liberale è una persona contraria all’interferenza nelle faccende altrui, tollerante verso gli atteggiamenti dissenzienti e i comportamenti anticonvenzionali. Storicamente i liberali sono a favore di tenere gli altri fuori dalla nostra vita, di lasciare agli individui lo spazio più ampio possibile per vivere e prosperare. Tuttavia nella sua forma estrema, oggigiorno ancora in voga, questi atteggiamenti sono attribuibili al pensiero libertario, o liberista. I socialdemocratici, invece, sono una sorta di ibrido. Coi liberali hanno in comune l’impegno in favore della tolleranza culturale e religiosa, ma nel campo delle politiche pubbliche credono nelle possibilità e nei pregi dell’azione collettiva finalizzata al bene comune e sono favorevoli a una tassazione progressiva per una giustizia distributiva che finanzi servizi pubblici e altri beni sociali. Con uno sguardo da lontano ma per nulla superficiale, Judt affronta il dilemma europeo. Se il modello europeo (di Stato o di Unione) è criticato perché ritenuto troppo costoso o economicamente inefficiente, è pur sempre vero che nessun beneficiario dello Stato sociale pare essere così pronto a rinunciare alla sanità pubblica, all’istruzione pubblica, ai trasporti pubblici e agli altri servizi essenziali. E infine, per evitare la bancarotta nazionale e il tracollo del settore bancario, governi e banche centrali hanno drasticamente cambiato rotta e riversato denaro pubblico per stabilizzare l’economia, e sottoponendo al controllo pubblico, aziende fallite. Molti economisti liberisti (veneratori della scuola di Chicago e Milton Friedman) si sono cosparsi il capo di cenere e giurato fedeltà alla memoria di J.M. Keynes. Se ciò è un passo avanti, purtroppo non costituisce ancora una rivoluzione intellettuale che è ciò di cui vi è realmente bisogno. Per farla breve, la necessità di uno Stato forte e di un governo che intervenga per equilibrare le “disfunzioni” del mercato è fuori discussione, ma nessuno sta “ripensando” lo Stato. Non mancano le ragioni per indignarsi da parte delle forze progressiste in quest’epoca di insicurezza economica, fisica e politica. Purtroppo è la paura che sta prendendo il sopravvento così come le forze politiche che la cavalcano. E la paura – paura del cambiamento, paura del declino, paura degli stranieri e di un mondo a cui non siamo abituati – corrode la fiducia e la dipendenza reciproca su cui si fondano le società civili. Qualunque cambiamento rischia di essere distruttivo e Judt porta l’esempio americano del dopo 11 settembre e della sua “lotta” al terrorismo, lotta che, come ben sa il nostro ex senatore, ha portato, in un democrazia quale quella americana (per tanti versi decantata da Tocqueville), alle aberrazioni di carceri quali Guantanamo. In nome della sicurezza, società aperte arrischieranno di ripiegarsi su se stesse, sacrificando le proprie libertà. La scelta sarà allora non più tra Stato e mercato, ma tra due tipi di Stato. In conclusione faccio mio un commento scritto a seguito della pubblicazione di questo libro: “ciò che colpisce è che Tony Judt parla di arrabbiarsi di fronte alla nostra acquiescenza politica, scrive della necessità di dissentire dal nostro modo di pensare economicistico, dell’urgenza di ritornare al dibattito pubblico improntato all’etica. Nessuno parla più così”.
Ebbene, spero che si inizi a tornare a parlare in questo modo anche da noi. Perché “guasto è il mondo, preda di mali che si susseguono, dove la ricchezza si accumula e gli uomini vanno in rovina” (Oliver Goldsmith, The Deserted Village, 1770).

Avv. Matteo Quadranti, Gran Consigliere