Valorizzare il Volontariato

Autunno 2008 – IL GINNASTA

 Lo Zanichelli definisce “volontariato” come “il prestare gratuitamente, o quasi, la propria opera presso enti pubblici o privati; attività volontaria e gratuita svolta a favore della collettività (specialmente nel campo dell’assistenza)”. Non avendo reperito qualcosa di analogo in Svizzera, faccio capo ad alcuni concetti che risultano dall’unica legge esistente in Europa che tratta del volontariato, e meglio alla legge italiana no. 266/1991 che è una legge quadro la quale tra l’altro istituisce (art. 15) delle strutture – presenti in ogni regione – per lo sviluppo e la crescita del volontariato (i Centri di Servizi per il Volontariato, CVS) che – finanziati da fondi speciali per il volontariato – forniscono servizi gratuiti nel campo della promozione, della consulenza, della formazione e della comunicazione nel settore del volontariato. All’art. 1 di tale legge si afferma che “la Repubblica italiana riconosce il valore sociale e la funzione dell’attività di volontariato come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo, ne promuove lo sviluppo salvaguardandone l’autonomia e ne favorisce l’apporto originale per il conseguimento delle finalità di carattere sociale, civile, culturale”. L’art. 12 istituisce anche la creazione di un Osservatorio nazionale per il volontariato con i compiti, tra altri, di fornire ogni elemento per la promozione e lo sviluppo del volontariato,nonché sostenere iniziative di formazione ed aggiornamento. L’attività di volontariato non può essere retribuita ma la volontario possono essere soltanto rimborsate le spese effettivamente sostenute per l’attività prestata (art. 2). I lavoratori che facciano parte di organizzazioni iscritte nei registri, hanno diritto di usufruire delle forme di flessibilità d’orario di lavoro previsti da eventuali accordi collettivi e compatibilmente con l’organizzazione aziendale (art. 17).

In una storica sentenza della Corte Costituzionale italiana del 1992 (no. 75), in relazione alla legge di cui sopra si legge che: “Quale modello fondamentale dell’azione positiva e responsabile dell’individuo che effettua spontaneamente e gratuitamente prestazioni personali a favore di altri individui ovvero di interessi collettivi degni di tutela da parte della comunità, il volontariato rappresenta l’espressione più immediata della primigenia vocazione sociale dell’uomo, derivante dall’originaria identificazione del singolo con le formazioni sociali in cui svolge la sua personalità e dal conseguente vincolo di appartenenza attiva che lega l’individuo alla comunità degli uomini. Esso è la più diretta realizzazione del principio di solidarietà sociale, per il quale la persona è chiamata ad agire non per calcolo utilitaristico o per imposizione, ma per libera e spontanea espressione della profonda socialità che caratterizza la persona stessa. Si tratta di un principio che è posto dalla costituzione tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, tanto da essere solennemente riconosciuto e garantito, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, dall’art. 2 della Carta costituzionale (ndr. italiana) come base della convivenza sociale”. Certo che un tale riconoscimento, espresso in questi termini, dell’attività di volontariato non può che rendere orgogliosi coloro che lo svolgono. Ma non si vive di solo orgoglio!

In Italia, a differenza che da noi, una tale legge si rendeva più necessaria poiché molti servizi di assistenza o di altro tipo sociale, non potendo essere garantiti dagli Enti pubblici (per ragioni di evidente carenza della finanza pubblica) dovevano e devono essere gestiti tramite il volontariato come attività che si innesta tra il pubblico e il privato per sopperire alle carenze del primo e alle necessità del secondo. Già solo per questo in Italia le organizzazioni di volontariato sono circa 25’000 con oltre un milione di volontari operanti. Da noi, di contro, il volontariato mi pare decisamente in perdita di velocità o relegato a qualche ambito diverso, nel quale possiamo di certo inserire l’attività svolta da molti nel mondo della Ginnastica. Tutto o quasi quello che una volta anche da noi era il volontariato di tipo assistenziale o sociale viene ormai – segno dei tempi e di un individualismo più marcato – svolto a titolo professionale o semi professionale (si vedano tra molti altri esempi i compiti svolti dalle associazioni di assistenza a domicilio – Spitex -, dalle Fondazioni in aiuto ai diversamente abili, alla Croce Verde, ecc…).

Per venire ora al mondo della Ginnastica, mi rendo certo conto che tutto quanto sopra indicato non si attanaglia in tutto e per tutto al tipo di volontariato del nostro settore, ma se ne può trarre spunto per qualche riflessione. Intanto credo che si debbano trovare delle modalità per fare in modo che l’attività di volontariato venga maggiormente riconosciuta dall’Ente pubblico e nel settore privato con, ad esempio, il riconoscimento reciproco di “attestati” da poter utilizzare anche ai fini lavorativi. In tal senso il Comitato Direttivo posso affermare si sta già movendo per sondare il terreno. Infatti l’ACTG è un’associazione di diritto privato che però ritengo svolga – ed in questo è riconosciuta– un’attività a favore della collettività nell’ottica della prevenzione della salute psicofisica della popolazione. D’altro canto però vi sono ancora dei margini di miglioramento per promuovere, sostenere, e non disincentivare, il volontariato. Alcuni aspetti legali e burocratici rendono oggi, per taluni volontari e talune associazioni – tra cui la nostra, come quelle a noi affiliate -, difficile mantenere il principio del volontariato nel senso di prestazione assolutamente gratuita. Talvolta il solo rimborso delle spese effettive non è sufficiente ad incentivare il mantenimento dell’attività volontaria, e delle indennità ulteriori, seppur di piccola entità unitaria, hanno delle conseguenze dal profilo fiscale e degli oneri sociali soprattutto quando l’attività, sostanzialmente, volontaria è importante in termini di disponibilità di tempo. Basti considerare, a titolo d’esempio, che un’attività che comporti degli indennizzi annui superiori a CHF 2’200 è soggetta alle trattenute di cui agli oneri sociali. Insomma forse si possono trovare ancora degli spazi per valorizzare meglio il volontariato pur tenendo conto di tutti gli interessi della parti coinvolte, evitando di dover professionalizzare anche taluni ambiti residui dell’attività volontaria, espressione della vocazione sociale dell’uomo.

 Avv. Matteo Quadranti, presidente ACTG