Libertà, inganno e guerra delle parole

16 febbraio 2006 – Opinione liberale

La filosofia, come la scienza e altre arti, si è occupata e s’occupa di rispondere alla domanda: com’è fatto il mondo? E soprattutto, come facciamo a dire com’è fatto il mondo? A noi interessa, qui e ora, rispondere semplicemente al secondo quesito. Per descrivere com’è fatto il mondo abbiamo bisogno di parole che abbiano un significato chiaro, il più possibile preciso e che quindi abbiano e mantengano col tempo un peso, un senso proprio e specifico anche quando le singole parole – come le cellule di un organismo – s’aggregano tra loro per creare un linguaggio. Il linguaggio è il mondo delle parole che serve per parlare di com’è il mondo delle cose. Dalla grammatica alla logica. Il mondo è l’insieme degli stati in cui si trovano o possono trovarsi le cose secondo enunciati e proposizioni formulati, nella realtà, a diversi livelli e da tanti punti di vista perciò si può dire, col filosofo Nelson Goodman, che alla fine il mondo è l’insieme delle sue versioni, versioni con le quali trasformiamo sempre e di nuovo il mondo perché la ricerca (della verità) è senza fine.

Il significato delle parole, come i valori che esprimono, debbono rimanere di principio saldi come le mura maestre di una costruzione poiché se si possono spostare i mobili e le pareti divisorie di una casa, diverso è dover demolire tutto e ricostruire da zero raccattando i cocci rotti del passato.

La politica, i partiti, ma anche i Mass media, contribuiscono a fornire delle versioni del mondo sulle quali dovremmo interrogarci costantemente. Il liberalismo ha contribuito alla nascita dello Stato moderno nel quale si trovano quali capisaldi la separazione tra Stato e Chiesa e le libertà fondamentali. Tra queste v’è la libertà di credo religioso derivante dalla laicità dello Stato come conquista dell’emancipazione dei poteri dello Stato dalle Chiese e la libertà d’espressione.

Libertà quest’ultima tanto decantata ultimamente dai mezzi di comunicazione di massa i quali sollevano a parole la questione morale (la virtù dei politici) verso la politica quando non dovrebbero dimenticare di guardarsi in casa per valutare le proprie responsabilità (virtù mediatica). Certo non si può paragonare la responsabilità di persone elette dal popolo e che devono gestire il denaro pubblico con quella individuale – sempre cardine dell’idea liberale – di persone, fisiche o giuridiche, che operano nel settore privato, sulla cui responsabilità verso la società si sorvola spesso. Ciò tanto più per quelle persone private (media, multinazionali, ecc…) che hanno oramai il “potere” di condizionare l’opinione e la vita pubblica. Si pensi alla forza delle “Sette Sorelle” che gestiscono le risorse petrolifere da cui il mondo industrializzato è tanto dipendente. Si pensi alle multinazionali dell’energia, del gas, dei generi alimentari, … che nella misura in cui non condizionassero la nostra vita d’occidentali, condizionano quella d’altri cittadini d’altre regioni del mondo. Si pensi anche a qualche Media, fortunatamente non tutti, che pur di vendere il proprio prodotto, conquistare lettori, telespettatori e soprattutto introiti pubblicitari, per il proprio tornaconto, non badano ai danni che possono causare. Questi dimenticano che la libertà di stampa, come ogni libertà, non è tanto la possibilità di fare ciò che si vuole ma è quella di fare ciò che si deve. Non si tratta evidentemente di censurare dovendo valere i principi costituzionali ma di senso della responsabilità che prevalga, anche per i media, sul proprio interesse per essere veramente liberi anche dai propri bisogni di bilancio. Se diamo un senso alle parole, un conto è mettere in libertà, allo scoperto dei fatti (cronaca) e un altro è prendersi la libertà di raccontare e enfatizzare o meno tali fatti senza considerare le possibili conseguenze per l’ordine pubblico. Un esempio recente

è quello delle vignette su Maometto che ha scatenato sì l’ira degli islamici ma anche un battage mediatico (vignette riprese su altri giornali, notizie e immagini giornaliere in TV, radio, commenti, dibattiti pubblici, ecc…), nello stesso “Occidente”, che di fatto ha regalato ai Media grosse vendite e ascolti, ma soprattutto ai più estremisti un motivo in più per trovare adepti alla propria causa.

Ma ormai vi sono diversi precedenti a partire dal regalo – involontario – fatto dai Media a Bin Laden riproponendo continuamente l’attentato alle Torri Gemelle e dando peso allo spettacolo messo in scena da questo terrorista ovvero facendo proprio quello che lui voleva ottenere. Certo quello era un evento straordinario per i Media ma soprattutto era il primo. Ora credo che i Media dovrebbero interrogarsi su eventuali correttivi nell’interesse pubblico non solo del Primo e del secondo Mondo. In quanto “Media” – e cercando sempre di dare un senso alle parole – questi dovrebbero cercare talvolta di “mediare”. Altrimenti ha ragione Umberto Eco nel dire che tra le caratteristiche della Neoguerra, ovvero quella del Terzo Millennio globalizzato, vi è anche il fatto che il nemico non solo sta ovunque ma addirittura ti parla in casa per cui se si vuole sperare in una pace almeno locale bisogna sperare nella memoria corta dei media.

Come disse il filosofo Otto Neurath del mitico Circolo di Vienna, siamo come marinai che devono riparare una barca mentre naviga, senza poterci rifugiare in cantieri ospitali. Cerchiamo di non affondarci da soli.

 

mquadranti@hotmail.com

 

Fonti: Salvatore Veca, Il giardino delle idee, 2005

Umberto Eco, A passo di gambero, guerre calde e populismo mediatico, 2006