Le città e lo Stato

31 maggio 2013 – Opinione liberale, Rubrica Ballate Maltesi

“Per vedere una città non basta tenere gli occhi aperti”
(Italo Calvino, Le città invisibili)

Dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente e prima dell’avvento dei regimi liberali, le forme politiche a disposizione (o che quantomeno erano presenti nella coscienza) degli uomini, erano sostanzialmente tre: l’Impero, la Città e la Chiesa. Mi soffermo qui solo al modello della città poiché tornato di attualità come vedremo. Di grande prestigio hanno goduto nel passato città come Atene, Sparta, Roma e poi le città anseatiche, Venezia e Genova, Firenze per citarne alcune. A queste peraltro dobbiamo un numero considerevole di capolavori artistici e letterari, nonché grandi imprese commerciali. L’idea di città era, e penso sia, quella di uno spazio pubblico in cui i cittadini deliberano e decidono su tutto ciò che concerne i loro “affari comuni”. È l’idea – profondamente e politicamente “naturale” – della padronanza, da parte dell’associazione umana, delle proprie condizioni di vita. Tuttavia le città di allora non furono capaci di espandersi e di durare perché “ideologicamente” deboli e “particolari” di fronte a due “universali” quali erano l’Impero e la Chiesa. Ogni fazione all’interno della città tese ad appoggiarsi sull’uno o sull’altro di questi universali (cfr. Guelfi e Ghibellini a Firenze). Comunque le città conoscevano una vita politica intensa e ribelle, segnatamente verso l’influenza della Chiesa. È nelle città italiane che fiorirono le prime grandi affermazioni di indipendenza e di nobiltà del mondo profano (Dante, Marsilio da Padova, Boccaccio, Macchiavelli). Fatto sta che la storia europea dovette poi passare da una quarta forma politica, la monarchia, prima di giungere alla nazione e quindi ai regimi liberali, e meglio agli Stati democratici e laici.

Se non che le città, secondo alcuni studiosi (Nassim Nicholas Taleb, “La teoria del Cigno nero”; Edward Glaeser, “Il trionfo della città”) stanno per riconquistare terreno al punto che si ipotizza che entro 25 anni gli Stati Nazione saranno sostituiti o indeboliti dalla forza di alcune città-Stato tra, e entro le quali, le cosiddette Urban Elite si muovono. Certo parliamo qui a livello di Metropoli globali quali New York, Londra, Tokyo, Parigi, Hong Kong, ma anche di Singapore, Seul, Pechino, Buenos Aires, Mosca, Dubai. Si calcola inoltre che il 40% della crescita globale dei prossimi 15 anni verrà da 400 città di dimensioni medio-grandi al momento sconosciute. Già oggi le cinque città a maggior crescita sono Beihai (Cina), Ghaziabad e Surat (India), Sana’a (Yemen), e Kabul (Afghanistan). È nelle citta – si legge – che l’economia cresce, che le persone raggiungono alti livelli d’istruzione, che la creatività sboccia, che le relazioni sociali fioriscono, che il patrimonio d’intelligenza collettiva si accumula e si esaltano le forze dell’umanità. Ed è in questi luoghi di diseguaglianza sociale estrema che uscirà un mondo forse più giusto, laddove il luogo di origine conta meno dell’arricchimento interculturale. In queste metropoli, quasi veri e propri centri off-shore, sono state create zone dedicate alle Urban Elite (top manager, artisti, imprenditori e rispettive famiglie con grandi mezzi finanziari) che si spostano da una città all’altra (per lavoro, per una mostra, per lo shopping, per vacanza) e vivono come se non avessero nazionalità. Saranno metropoli in concorrenza una con l’altra, aperte, attente alla qualità della vita e hi-tech: per attrarre denaro, competenze, creatività, cultura e talenti. Fondate sul concetto delle “tre T” che una città deve mettere in campo per vincere: “Tecnologia, Talento, Tolleranza”. Succede insomma, stando a questi studi, che l’energia che si sprigiona dalle grandi città sta diventando uno dei principali filoni di analisi e di intervento non più solo degli architetti, degli urbanisti, dei pianificatori, ma anche di economisti e politici.

Al nostro livello cantonticinese, malgrado la legge sulle aggregazioni, il documento del 2004 sul “Ticino delle nuove città” e più di recente le proposte o iniziative per creare 5 o 15 città, i processi di creazione di Città riscontrano ancora molte resistenze. Quando si pensa che la politica ticinese non proponga visioni, forse si omette anche di affermare che quando le visioni ci sono le si osteggia complice un clima pervasivo, negli ultimi 20 anni, di conservatorismo e provincialismo. Importanti scenari sono stati presentati al Dies Academicus dell’USI voluta da Buffi (ricerca, talento, tecnologia e ambiente cosmopolita). Il gruppo PLR ha presentato l’aprile scorso una mozione per promuovere la banda larga in tutte le regioni del Ticino. La Città di Lugano da tempo, non già da aprile 2013, si sta muovendo con progetti culturali di ampio respiro e non solo. Insomma, uno sguardo alla storia e alla nuova geografia globale può essere da sprone, non certo a pensare oltre ogni ragionevole e realistica misura ma nemmeno troppo in piccolo. Il PLR dovrà essere la forza positiva, quella che con coraggio dà una speranza nel futuro. E deve farlo contro la politica della chiusura a riccio, del pessimismo, della paura.

Matteo Quadranti