La “malattia” del dubbio

Anche nella nostra bella Repubblica viviamo tempi in cui si vogliono e si cercano certezze e verità. Intanto si lanciano “segnali” nell’etere sperando che qualcuno li raccolga e cali miracolose soluzioni, soluzioni che ovviamente devono essere quelle che ci piacciono. Tralasciando i messaggi ad entità sovrannaturali o extraterrestri, i “segnali” di alcuni dei “nostri” vanno a pretendere da vari altri (Berna, UE, “mondo ladro”, il Governo se è il parlamento a chiederlo e il Parlamento se è il Governo a chiedere, gli avversari, …) che risolvano i problemi. In occasione di un Festival denominato “LeXGiornate: La musica come non l’avete mai vista” tenutosi a Brescia a settembre di quest’anno, nello spazio conferenze pre-concerto, il noto filosofo italiano Remo Bodei ha tessuto un elogio del dubbio quale valore fondante della democrazia. La democrazia, relativistica perché ammette più fedi e più verità, ha proprio il dubbio come sua specifica virtù. Ma vi è in essa qualcosa che non è per nulla relativistico: la compatibilità interna tra i valori, garanzie di convivenza di tutti in uno spazio pubblico e neutro, sempre minacciato da ritorni di fiamma di intolleranza e prepotenza. Bodei – che fondamentalmente riprende quanto aveva scritto Norberto Bobbio allorquando diceva che seminare incertezze è l’antidoto a ogni schieramento ideologico a priori – conclude che lo scopo di ogni persona ragionevole, e in particolare di chi sceglie l’intelligenza quale strumento di lavoro, dovrebbe essere “l’inquietudine per la ricerca, il pungolo del dubbio, la volontà di dialogo, lo spirito critico, la misura nel giudicare, lo scrupolo filologico, il senso della complessità delle cose”.

I capi totalitari (di ogni epoca storica, a destra come a sinistra) hanno sempre preteso di incarnare l’indiscutibile verità e l’esemplare moralità. Di conseguenza per loro, ogni pensiero autonomo e ogni dubbio sono da considerare sovversivi perché in realtà minano l’autorità del capo.  Che le masse si lascino facilmente guidare è loro convinzione profonda, senza andare a scomodare troppo Hitler o Mussolini o le attuali guide dei fondamentalisti islamici. Essi sono convinti che il dubbio sia una malattia. Nello slogan fascista “Credere, obbedire e combattere” non ha caso il “credere” sta al primo posto. Un atto di ceca fiducia è richiesto.

Dubitare vuol dire ragionare ma poi decidere. Il dubbio non può restare un tentennamento duraturo e fine a sé stesso. Non deve diventare paralisi. Ma esso resta fondamentale per valutare opzioni che non siano il frutto delle emozioni, delle passioni (legittime come possono essere la paura, l’ansia) del momento e del contesto. Ragionare prima di decidere è segno di maturità. Se la democrazia è una forma matura di governo, dobbiamo evitare che invecchi e ci si affidi alla “speranza” astratta di un qualcuno “al di là” di noi che ci salvi. Saremo sempre noi a dover ragionare su noi stessi. E i liberali sono i meglio addestrati a farlo. Essi si assumono le responsabilità, anche scomode.

Questa la buona teoria. Di esempi pratici di come invece non bisognerebbe fare, ve ne sono ad ogni seduta del parlamento.

Matteo Quadranti