IDENTITÀ – BUSINESS E LAVORO: PUNTI DI INCONTRO E SINERGIE?

Dobbiamo tutelare il nostro “patrimonio immateriale” che consiste in pratiche, rappresentazioni, espressioni, capacità, strumenti, spazi culturali che le comunità riconoscono come parte integrante del loro patrimonio culturale: quel sapere e conoscenza che vengono trasmessi di generazione in generazione in risposta al loro ambiente e alla loro storia. Esso garantisce un senso di identità e continuità incoraggiando (questo almeno dovrebbe essere l’obiettivo) anche il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana oltre che il rispetto tra le varie comunità. Comprendere ad esempio il successo di convivenza del modello svizzero fatto di patrimoni culturali diversi dovrebbe portarci a trarre insegnamento e ad esportare queste nostre capacità interculturali.

L’immigrazione di massa è percepita come un pericolo per la nostra identità culturale che include anche un certo tenore di vita e quindi benessere economico (patrimonio materiale). Dal profilo oggettivo e storico le immigrazioni sono state fonte di crescita e attualmente esse sono per l’Occidente una risorsa contro il calo di natalità, per salvare il sistema pensionistico esistente (che ci ha dato qualità di vita nella terza età) e per garantire (tramite un plotone di badanti e babysitter straniere) un’assistenza alle famiglie e agli anziani. Ma questo non basta a frenare l’avanzata sovranista (populista) e l’avversione allo straniero in tutte le sue possibili forme. Come stato ben detto, di principio non abbiamo ei problemi con le migrazioni: esse sono più un problema di quantità di migranti. La quantità rende più difficile l’integrazione sociale e quindi anche nel mondo del lavoro. Questo genera conflitti. Ci sono poi stranieri che, come dice l’ultimo rapporto della SECO, una volta arrivati in svizzera non hanno nessun problema di inserimento professionale e inoltre non sostituiscono i lavoratori residenti, ovviamente a parità di qualifiche. Si ritiene pure che le aziende potrebbero faticare in futuro a trovare certi profili professionali anche esteri e che pure la disoccupazione dei residenti dovrebbe scendere ulteriormente. Ma vi sono fenomeni che riguardano certi stranieri che in Ticino suscitano preoccupazione: i frontalieri e i padroncini e il dumping che generano in determinati settori. Ma allora vediamo di concentrarci su questi problemi reali piuttosto che di prendercela con lo straniero qualunque sia, perché il tema deve essere non l’odio indistinto verso l’altro ma bensì un discorso economico, di concorrenza e infine di dignità. Focalizzare il problema permette di trovare le misure e i correttivi adeguati.

La globalizzazione liberale ha portato vantaggi e svantaggi. Sicuramente ha messo in difficoltà le sovranità nazionali e le democrazie liberali con le loro fondamentali regole di rispetto dei diritti dell’uomo e dello Stato di diritto. Ma il proliferare del cosiddetto hate speech (discorso dell’odio) è la sfida da superare per USA e UE. Le società nazionali sono sempre a rischio xenofobia, risentimento e odio tra gruppi sociali. L’odio è per la politica ciò che l’Ebola è tra i virus (afferma Daniel Little, filosofo americano): minaccia la vita sociale. È probabile che sospetto e diffidenza siano tratti emersi dall’evoluzione sociale e che ancora oggi prevalgano sulla predisposizione alla fiducia. Per questo è più facile attivare sentimenti di divisione piuttosto che di condivisione e altruismo. Munus in latino significa dono, impegno. Im-mune vuole essere l’esenzione dalla reciprocità, dal dono, a differenza di co-mune che invece afferma il dovere reciproco. Immunità è chiusura, comunità è apertura. I ponti tra globale e locale sono in realtà l’unica via percorribile per uscirne. Una via che deve partire dal basso con misure concrete e praticabili, non con muri e protezionismi sbagliati. Con iniziative avviate da organizzazioni, istituzioni e ideologie mirate a favorire la collaborazione e la comprensione tra gruppi diversi sul piano razziale, etnico, religioso. A Detroit, città ad alto tenore di pluralismo religioso e etnico, negli anni ’70 venne creato da alcuni rappresentanti della comunità araba l’ACCESS (Arab Community Center for Economics and Social Services) con il duplice scopo: (1) aiutare gli immigrati arabi ad adattarsi allo stile di vita americano, (2) promuovere relazioni amichevoli interetnico-religiose attraverso attività educative, culturali aperte a tutti i residenti, compresi gli americani bianchi. Quella città è ancora oggi quella a più basso tasso di violenza interetnica.

Alle nostre latitudini ed in un’epoca dove molto si misura in funzione del tornaconto economico vale la pena evidenziare l’accento che il mondo economico, anche ticinese, sta mettendo sull’importanza della conoscenza di codici culturali altrui. Per mantenere e migliorare l’internazionalizzazione (global) delle nostre aziende e per renderle competitive pur restando local-izzate nel nostro Cantone – garantendo l’occupazione e tassi di disoccupazione bassi per rapporto a molti altri Paesi – bisogna conoscere sempre più i codici culturali dei Paesi verso in quali esportiamo o importiamo. Questo per meglio sviluppare empatia verso le realtà economiche e sociali con cui si deve interagire. La conoscenza di altre culture non é solo potenzialmente nemica o da temere ma può essere quindi utile strumento di promovimento economico. Conoscere la lingua del luogo di business non è sufficiente: bisogna conosce linguaggi non verbali, tradizioni, usi e costumi per poter costruire ponti fra partners commerciali. E ciò che può valere per il business deve poter valere anche socialmente, a livello di reciproca comprensione. La globalizzazione ci ha confrontati a sistemi di valori ben diversi dai nostri. Un conto è trattare con partner italiani ed un altro è con cinesi o emiri del golfo. Avere team multiculturali nelle aziende di un certo livello è diventata la prassi e non comprendere il partner può far perdere opportunità ed occasioni di crescita e opportunità di lavoro. Le aziende a forte tasso di diversità culturale sono generalmente più performanti. Se si possono capire le paure “primanostriste”, non si può affrontare e vincere la sfida col futuro mediante misure protezionistiche o generazioni cresciute con l’avversione a quanto accede fuori dal Ticino. Per questo il nostro sistema formativo (come già sta facendo il Politecnico di Losanna) deve dare centralità allo studio delle scienze umane. Un approccio liberale e pragmatico al tema identitario e all’integrazione deve sottolineare e sostenere queste opportunità con un rovesciamento di prospettiva.

Matteo Quadranti, gran consigliere